Sbagliò il comandante Roberto Paoloni che merita 10 anni e 4 mesi di carcere. E sbagliarono anche il direttore di macchina Franco Giammoro e il primo ufficiale Lorenzo Repetto, condannati rispettivamente a 7 anni e a 8 anni e 6 mesi. Sbagliò pure il pilota del porto Antonio Anfossi, per il quale il giudice ha stabilito una pena di 4 anni e 2 mesi. Per l’impatto del cargo Jolly Nero contro la Torre Piloti di Genova – che la sera del 7 maggio 2013 provocò la morte di 9 tra operatori portuali e militari della Capitaneria – non ebbero alcuna colpa, invece, né la compagnia Ignazio Messina, responsabile solo di un illecito amministrativo, né il suo delegato d’armamento Gian Paolo Olmetti, assolto perché “il fatto non sussiste” a fronte di una richiesta dell’accusa di 17 anni e mezzo di carcere.

Il dirigente della società armatrice era finito imputato perché per i pm era tenuto ad “analizzare precedenti incidenti facendo azioni correttive per evitare il ripetersi di situazioni pericolose”. A fronte di oltre 20 casi, secondo la Procura di Genova, “Olmetti non ha mai fatto quello che le norme obbligavano a fare” e “per circa un decennio c’è stata la violazione sistematica” delle norme. In realtà ora le accuse per Messina e i suo i dirigenti sono cadute. Per il giudice Silvia Carpanini non avrebbero potuto evitare che il Jolly Nero andasse a sbattere contro la Torre Piloti, costruita negli anni Novanta sul Molo Giano del porto. 

Erano le 23.05 del 7 maggio di quattro anni fa quando la “marcia indietro” del cargo andò a finire contro la struttura, sbriciolandola. La torre si accartocciò su se stessa, inghiottendo i militari della Guardia Costiera Marco De Candussio, Daniele Fratantonio, Davide Morella, Giuseppe Tusa, Francesco Cetrola e Gianni Jacoviello, il cui corpo fu ritrovato solo dieci giorni più tardi incastrato 8 metri sotto la banchina. E morirono anche Michele Robazza, Sergio Basso e Maurizio Potenza, tutti impegnati sui rimorchiatori che accompagnavano la manovra del Jolly. Il più anziano di loro aveva 50 anni, i più giovani appena trenta. Non riuscirono a scappare dal loro posto di lavoro, mentre sul mercantile, come ha raccontato Anfossi durante il processo, “regnava un silenzio surreale, sembrava una nave popolata da zombie, il comandante non reagiva e non rispondeva alle domande”. Sbagliarono la manovra e per questo si sono ritrovati a processo per omicidio plurimo colposo, attentato alla sicurezza dei trasporti e crollo di costruzioni. Il comandante Paoloni e il terzo ufficiale Cristiana Vaccaro rispondevano anche di falso perché non scrissero sul giornale di bordo che i contagiri non funzionavano. Arrugginiti, inservibili come dimostrano tra l’altro anche alcune foto pubblicate tempo fa dal Fatto.it. Secondo l’accusa, quella sera, il malfunzionamento fu determinante nella mancata inversione di marcia del Jolly Nero, che era diretto prima a Napoli e poi in altri porti del Mediterraneo.

Nella notte più buia per il porto di Genova, hanno stabilito i giudici, le colpe furono insomma solo di chi era a bordo, come sottolinea una volta di più la Messina: la sentenza, si legge in una nota, “equivale a un riconoscimento incontestabile: il Gruppo Messina impiega e gestisce – sotto la guida del comandante Giampaolo Olmetti, che è stato assolto – navi sicure, il crollo della Torre Piloti è quindi esclusivamente attinente alla manovra compiuta nell’avamporto di Genova”.

Le urla dei parenti per le pene dimezzate rispetto alle richieste del pm Walter Cotugno e l’assoluzione di Olmetti hanno rimbombato nell’aula del tribunale: “Assassini, assassini, avete ucciso nove persone, non finisce qui”. Tra loro c’era Adele Chiello, madre di Giuseppe Tusa. Ha seguito tutte le udienze del processo stringendo tra le mani la foto del figlio: “Ho creduto nella magistratura, ma sono delusa. Il pm ha lavorato bene, ma non ci siamo. Bisogna far uscire la melma dal porto di Genova”. La “melma”, come la chiama lei, sono le presunte certificazioni facili concesse all’armatore Ignazio Messina per il Jolly Nero e altre navi, oggetto di un’altra inchiesta nata da questo stesso processo. “Lo sapevano e sono stati assolti”.

Il riferimento è all’assoluzione del delegato d’armamento Olmetti, per il quale il giudice ha stabilito che “il fatto non sussiste” e ha conseguentemente assolto anche la Messina, che rischiava il commissariamento e ha ricevuto invece “solo” poco più di un milione di multa per illecito amministrativo. “Non è una sentenza coraggiosa come speravamo. È una prima affermazione di giustizia, ma manca un pezzo importante – commenta a ilfattoquotidiano.it Massimiliano Gabrielli, avvocato di parte civile assieme a Alessandra Guarini e Cesare Bulgheroni – La pronuncia sulla posizione di Olmetti è un boccone amaro da mandare giù: era il collegamento tra chi era a bordo e la società armatrice che aveva permesso a quel cargo di navigare nonostante le condizioni in cui si trovasse. Ci sono altri filoni d’indagine che hanno squarciato il velo di omertà su rapporti promiscui tra capitaneria di porto, società di certificazione e armatori. Torneremo a sentire parlare delle responsabilità di Olmetti e della Messina”.

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