Quella fotografia del principe Carlo tra le macerie di Amatrice, con la sua giacca perfetta, abbottonata come si conviene. Il caschetto bianco regolamentare.
Sarà, ma in tempi di Brexit, questa è l’Inghilterra (anzi Il Regno Unito) che ci piace, quella che, nel bene e nel male, avrebbe ancora molto da insegnare a tutti, ma che ormai è una minoranza anche a casa propria.

L’England dei compiti più difficili portati a termine senza retorica; quella di un naturale understatement, espressione di un formalismo e uno stile non solo esteriore, fatto certo di buone maniere, ma anche e soprattutto di educazione faticosa, autocontrollo e senso delle istituzioni; l’Inghilterra del rispetto e dovere verso i più deboli e i meno fortunati; consapevole e discreta del proprio alto ruolo.

Sarà strano, ma a molti quella fotografia del principe Carlo – un uomo colpito dalla sfortuna di perdere l’amata moglie Diana  e un caso personale non invidiabile né esemplare (come tutti i Sovrani, peraltro) – ha riassunto tutti questi valori, la grandezza non rumorosa della Vecchia Inghilterra, fino agli ideali dell’inni patriottico Rule, Britannia che ora sono solo un pallido ricordo.

In realtà, quale Inghilterra portano a spasso il principe Carlo e sua madre, la regina Elisabetta? L’Inghilterra cialtrona dei Nigel Farage, quella pseudo popolare dei Boris Johnson, quella arruffona e incerta dei David Cameron? L’Inghilterra egoista e short sighted della city, quella che vorrebbe espellere tutti i polacchi?

E cosa avrebbe in comune questa Inghilterra con quella che tutti abbiamo amato e odiato, ma sempre ammirato? Quella opposta e contraria di John Maynard Keynes e di Joan Robinson, quella di Benjamin Britten e dei Beatles, di Ken Loach e di George Orwell, quella di Margaret Thatcher, di Louis Mountbatten, di Bobby Charlton e George Best e Johnny Wilkinson, di Cambridge, della London school of economics e dei molti altri, che hanno reso unico e grande il Commonwealth britannico?

La Gran Bretagna di cui tutti noi abbiamo (disperato) bisogno non è quella dei maglioni di cashmere, dei blue (famous) raincoats, delle church’s, degli scotch whisky e delle tea rooms, che certamente poco alla volta scompariranno. È quella della politica alta, di una strategia internazionale di lungo periodo. Quella che si impegnava per dei valori e dei principi, ipocrita e formalista se vogliamo, ma che sapeva distinguere tra bottega e politica, perché certe cose non si fanno, prima di tutto perché sono brutte, poi perché non si deve.

L’Inghilterra che ha insegnato agli americani a battersi per un’idea, non solo per la pagnotta. Quella che ha portato nelle questioni internazionali the rule of Law, a scapito del principio “ognuno per sé, Dio per tutti”. C’era una volta un’Inghilterra che affermava e difendeva spietatamente i propri interessi ovunque nel mondo, ma questi interessi non potevano esaurirsi in guadagni di breve periodo, erano la base per poter continuare a svolgere un ruolo di equilibrio e perfino di pace nel mondo e nelle difficoltà della politica internazionale.

Era un’Inghilterra grande nelle virtù come nei vizi (“Dio stramaledica gli Inglesi!”), dura e spietata, ma che al momento giusto sapeva essere l’alfiere di soluzioni politiche razionali, fossero la lotta al nazismo, la fondazione dello Stato d’Israele o perfino l’indipendenza italiana. Poteva piacerci o non piacerci, ma era un’Inghilterra che meritava tutto il nostro rispetto e svolgeva un ruolo internazionale credibile e condivisibile.

La Brexit non ci turba, ma se l’Inghilterra è divenuta un altro dei molti paesi in cui la politica si ispira solo alla pancia e si chiude nel piccolo recinto di casa propria, scordando la propria storia, le proprie consuetudini e la sua vocazione di paese consapevole del suo ruolo internazionale, allora di questa Gran Bretagna non sappiamo che farcene.

Per un giorno, per alcune ore, forse inconsapevolmente, Carlo ci ha ricordato di quella vecchia Inghilterra, nel nome della quale certamente il principe è stato educato e che forse desidererebbe continuare a rappresentare.

Prima che sia troppo tardi, più che “Dio salvi la Regina”, speriamo che Dio voglia “salvare” l’Inghilterra. Dal diventare un paese come tutti gli altri.

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