Il livello del pil italiano del 2016 “è ancora inferiore di oltre il 7% rispetto al picco di inizio 2008″. E “solo nel 2016 ha superato quello del 2000“. La competitività delle aziende della Penisola, poi, dal 2014 ha ripreso quota, “portando a una riduzione del divario con la Germania accumulato negli anni precedenti”, ma questo avviene soprattutto grazie al “contenimento dei prezzi e del costo del lavoro“, anche grazie alla decontribuzione per i nuovi contratti a tempo indeterminato partita nel 2015. Una tendenza che però è destinata a interrompersi visto che ora gli sgravi non sono più in vigore. E’ quello che emerge dal rapporto Istat sulla competitività dei settori produttivi, presentato venerdì a Roma.

“In Spagna il recupero” rispetto ai livelli pre crisi “è quasi completo”, annota l’istituto, “mentre Francia e Germania, che già nel 2011 avevano recuperato, segnano progressi rispettivamente di oltre il 4% e di quasi l’8%“. Tra i maggiori Paesi Ue, dunque, solo l’Italia resta ancora ben lontana dai “fasti” del periodo precedente al crac Lehman Brothers.

variazioni-pilNel frattempo “la caduta prima, e la persistente debolezza poi, del mercato interno hanno ridotto la capacità delle imprese italiane di investire ed espandersi sui mercati esteri”. Il sistema imprenditoriale è uscito dalla seconda recessione tra 2011 e 2014 ridimensionato nel numero d’imprese (-4,6%, oltre 194mila unità in meno) e di addetti (-5%, quasi 800mila unità in meno). Le costruzioni hanno maggiormente risentito della crisi (-10% di imprese, -20% di addetti, -30% di valore aggiunto). Più contenute le perdite nella manifattura (-7,2% d’imprese, -6,8 di addetti) e nei servizi di mercato (-4,7 e -3,3%), mentre i servizi alla persona sono l’unico comparto che ha aumentato unità produttive (+5,3%) e addetti (+5,0%). Durante la recessione del 2011-2014, una impresa su due ha ridotto il valore aggiunto in tutti i settori manifatturieri e in quasi tutto il terziario. Le imprese più colpite dalla crisi sono quelle che vendono solo sul mercato interno.

Nell’ultimo biennio è ripartito l’export… – Nell’ultimo biennio tuttavia, continua il rapporto, “l’allentamento della politica di bilancio, la ripresa del mercato del lavoro e dei livelli di attività economica hanno stimolato i consumi e favorito la crescita degli investimenti (+2,9%) seppure a ritmi tuttora più lenti rispetto ai principali partner europei (Germania +4%, Francia +6%, Spagna +8%)”. Le esportazioni sono “aumentate nel 2016 in misura maggiore rispetto a Germania e Francia, soprattutto in volume” e “sono cresciute più rapidamente della media mondiale”. La quota di esportazioni nazionali su quelle mondiali è risalita dal 2,7% del 2013 a quasi il 3% dei primi tre trimestri del 2016, sulla base delle informazioni provvisorie disponibili. “Restano comunque ampi i margini di miglioramento della capacità di penetrazione delle imprese sui mercati esteri”, conclude l’Istat.

…ma soprattutto grazie alla riduzione del costo del lavoro – A partire dal 2009, sia in Spagna sia in Italia sono risultati evidenti secondo l’Istat “gli effetti di una “svalutazione interna”, corrispondente a una diminuzione dei livelli dei prezzi relativi, che negli anni più recenti è ampia soprattutto nel confronto con la Germania e particolarmente per i servizi”. Solo dal 2014 “si segnala un sostanziale recupero della competitività di prezzo attraverso il costo del lavoro, favorito anche dai provvedimenti di decontribuzione attuati in Italia e in Spagna”. Ciò ha portato a una parziale riduzione del “cospicuo differenziale con la Germania accumulato negli anni precedenti”, che aveva continuato ad ampliarsi anche nei primi anni della crisi.

Rivisto al ribasso il progresso del pil del quarto trimestre 2016 rispetto allo stesso periodo del 2015 – Sempre venerdì l’Istat ha anche rivisto lievemente al ribasso il progresso del pil nel quarto trimestre 2016 rispetto allo stesso periodo del 2015. Il prodotto è salito dell’1% e non dell’1,1% come risultava dalla stima preliminare del 14 febbraio, mentre resta invariato a +0,2% il dato dell’aumento rispetto al trimestre precedente. Il comunicato fornisce poi i dettagli sulle componenti della crescita: il valore aggiunto è cresciuto dello 0,8% nell’industria, ha segnato una variazione nulla nei servizi ed è diminuito del 3,7% nell’agricoltura. Le importazioni sono aumentate del 2,2% e le esportazioni dell’1,9%. La domanda nazionale al netto delle scorte ha contribuito per 0,4 punti percentuali, con un apporto nullo dei consumi delle famiglie, uno 0,1% dovuto alla spesa della pubblica amministrazione e uno 0,2% agli investimenti fissi lordi.

L’istituto di statistica spiega anche che lo scorso anno il pil corretto per gli effetti di calendario, cioè per tener conto del fatto che il 2016 ha avuto due giornate lavorative in meno rispetto al 2015, è aumentato dell’1,0%. Un risultato comunque “coerente con la stima del pil diffusa il primo marzo”, pari a +0,9% di crescita annua. La variazione acquisita per il 2017, cioè la crescita che l’Italia metterebbe a segno se nei prossimi mesi l’economia si fermasse, è pari a +0,3%.

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