Non c’è tregua nella guerra tra Donald Trump e la stampa. Dopo aver escluso Nyt, Politico e Cnn dal briefing alla Casa Bianca il presidente Usa ha sferrato un altro colpo contro i giornalisti accusati di diffondere notizie false. “Non parteciperò alla cena dell’associazione dei corrispondenti della Casa Bianca quest’anno” ha annunciato in serata il tycoon su Twitter, augurando sarcasticamente a tutti una “buona serata”.

 

Una guerra senza esclusione di colpi, compreso il tentativo della Casa Bianca di fare pressione sui media “arruolando” 007 e parlamentari per ridimensionare con una serie di telefonate i presunti contatti tra lo staff del tycoon e l’intelligence russa durante la campagna elettorale, oggetto di inchiesta da parte dell’Fbi, nonché del Congresso. Telefonate orchestrate dopo il fallito tentativo di convincere il Federal bureau of intelligence a parlare con la stampa e a contestare articoli “non accurati”, come avrebbe ammesso la stessa Fbi con l’amministrazione rifiutandosi però di uscire allo scoperto. “Non so che altro avremmo potuto fare”, ha detto il portavoce della Casa Bianca Sean Spicer. Ma la decisione di coinvolgere dirigenti dell’intelligence, secondo il Wp, potrebbe essere percepita come una minaccia all’indipendenza delle agenzie di spionaggio e compromettere anche la credibilità dell’inchiesta in corso da parte del Congresso. Tra le persone “ingaggiate” dalla Casa Bianca, Richard Burr e Devin Nunes, presidenti delle commissioni intelligence di Senato e Camera.

Intanto dopo la bufera per l’esclusione da un briefing ristretto della Casa Bianca del Nyt, della Cnn e di altre testate scomode per l’attuale amministrazione, il tycoon ha rincarato la dose su Twitter contro i media ‘fake news’ che “consapevolmente non dicono la verità”, ammonendo sul “grande pericolo per il nostro Paese” e deridendo il Nyt e la Cnn come una “barzelletta”. Un esempio? “I media non hanno scritto che il debito nazionale nel mio primo mese è sceso di 12 miliardi di dollari contro un aumento di 200 miliardi nel primo mese di Obama”, ha cinguettato ancora, senza però fornire alcuna prova.

La reazione della stampa è stata sostanzialmente compatta, di sdegno, solidarietà e condanna, anche da parte di molte testate ammesse al briefing di Spicer, stritolato in una posizione sempre più imbarazzante. Il Washington Post – che cinque giorni fa ha scelto di mettere sotto la testata la frase ‘La democrazia muore nell’oscurità‘ – lo ho messo alla berlina ricordando quanto da lui sostenuto solo due mesi fa, quando assicurò che la Casa Bianca non avrebbe mai bandito nessun giornale perché “questo è ciò che contraddistingue una democrazia da una dittatura“. Uno scenario sul quale nei giorni scorsi aveva messo in guardia il senatore repubblicano John McCain: “I dittatori iniziano sopprimendo la libertà di stampa. Non sto dicendo che il presidente Trump sia un dittatore. Sto dicendo che dobbiamo imparare dalla storia”.

Anche il Nyt in un suo editoriale ha condannato il bando dei giornalisti come un “inequivocabile insulto” agli ideali democratici, stigmatizzando una mossa senza precedenti: “Nessun presidente di qualsiasi partito ha mai escluso una testata accreditata da un briefing della Casa Bianca, durante il Watergate, la vicenda Iran-contra, l’affaire Monica Lewinsky o qualsiasi dei numerosi scandali o crisi”. “Il primo emendamento può essere scomodo per chiunque brami il potere senza controllo. Trump dovrebbe ripassare cosa significa e abituarsi ad esso”, conclude il Nyt, davanti alla cui sede oggi è prevista una manifestazione per la libertà di stampa.

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