Era prevedibile, forse. Su certi temi pare che il dialogo socratico sia aprioricamente interdetto. Occorre accettare senza la mediazione del concetto e della ragione dialogica ciò che altri hanno deciso debba essere accettato. E guai a voler discutere criticamente, pena l’essere demonizzati come omofobi. L’omofobia deve certo essere combattuta, se per omofobia intendiamo l’intolleranza e la discriminazione. Il problema è che oggi viene sempre più spesso tacciato come omofobo chi semplicemente voglia ancora discutere criticamente su punti cardinali che altri hanno sottratto alla libera discussione razionale. Il dispositivo è chiaro e niente affatto neutro: mira a impedire la discussione critica, demonizzando come omofobo chiunque aspiri a intraprenderla.

E così il post sulla figura del transgender apparso sul mio blog è stato variamente silenziato, diffamato, ostracizzato: omofobia, fascismo, illiberalità. Ecco alcune delle accuse che sono giunte da più fronti. Si è, ancora una volta, scelto di proscrivere anziché confutare. Di demonizzare anziché argomentare. All’agorà socratica si è preferito il tribunale dell’Inquisizione. Con tanto di accuse e offese ad personam. La lotta contro l’intolleranza può essere, a quanto pare, un buon paravento dietro il quale nascondere la propria intolleranza verso ogni prospettiva altra rispetto alla propria.

Chi ha letto i miei interventi, sa bene che io non ho mai offeso nessuno. Né ho mai indotto all’odio o all’intolleranza, come pure sono stato accusato di fare. Il rispetto e la tolleranza sono da sempre miei presupposti irrinunciabili, sicuramente più di quanto non lo siano per quanti, tra lettori e colleghi, hanno preferito diffamarmi e offendermi. Ma tant’è.

Il mio post – ciascuno può appurarlo leggendolo – non diffama né offende nessuno. Sono favorevole – e fa quasi ridere doverlo esplicitare, quasi fossimo in un tribunale – a ogni forma di rispetto e di tolleranza. Francamente, a dirla tutta, non mi pongo nemmeno il problema se chi mi sta intorno sia etero o gay, transgender o asessuato: mi interessa che, quali che siano le sue inclinazioni, benefici dei diritti sociali fondamentali (lavoro, sanità, istruzione) e che non sia discriminato in alcun modo.

Il mio post semplicemente solleva un interrogativo, che così può compendiarsi: perché il capitalismo negli anni Cinquanta osannava la figura del padre di famiglia (spesso autoritario e maschilista) e oggi invece il nuovo modello diventa quello del transgender? Cosa è capitato? A quali mutamenti è andato incontro il quadro complessivo dei rapporti di forza e delle super-strutture del blocco storico capitalistico?

La mia tesi è che nell’orizzonte globalistico della neutralizzazione del diritto alle differenze, si inscrive anche l’ideologia planetaria che oggi mira a cancellare la distinzione naturale tra maschio e femmina per imporre il nuovo profilo dell’individuo unisex che si determina secondo la sua volontà assoluta. Tale ideologia, espressione coerente della passione del medesimo, del neutro e dell’indifferenziato propria della mondializzazione, promette la liberazione degli individui e, in verità, promuove la loro integrale sussunzione sotto le leggi del capitale. Aspira a creare un nuovo modello umano unisex, infinitamente manipolabile, perché privo di un’identità che non sia quella di volta in volta stabilita dalla sfera della circolazione.

Prima il soggetto ideale del capitalismo autoritario e borghese era il padre di famiglia autoritario e repressivo. Ora diventa l’individuo transgender. Non più capitalismo disciplinare e repressivo, ma capitalismo dell’abbattimento di ogni limite e di ogni norma. Tutto diventa possibile per l’individuo, a patto che questi possa permetterselo economicamente. Non v’è, in ciò che dico (per chi sappia leggere, ovviamente), alcuna offesa ai danni né dei padri di famiglia, né dei transgender.

L’indifferenzialismo sessuale propugnato dalla nuova ideologia si fonda sul falso presupposto in accordo con il quale la vera giustizia risiede nella cancellazione coatta delle differenze e nella coerente produzione del modello unico indistinto, uniformato, indifferenziato, diversificato solo per il valore di scambio singolarmente disponibile.

In antitesi con l’errato assunto secondo cui possono essere uguali solo gli identici, la vera giustizia sta, invece, nel riconoscere e nel trattare con il medesimo rispetto le alterità e le differenze degli individui: non annulla le differenze, ma fa sì che in nome di esse non si producano forme di violenza che spaziano dall’intolleranza allo sfruttamento.

La vera eguaglianza sta nel trattare con eguale dignità e rispetto donne e uomini, omosessuali e transgender: non nel negare le diversità tra queste figure producendo la falsa uguaglianza dell’essere-il-medesimo. La giusta idea di una cultura fondata sul rispetto della differenza è annullata sull’altare di una non-cultura centrata sull’educazione dell’indifferenza e dell’indistinzione.

Le battaglie, di per sé giuste, contro l’omofobia diventano il mezzo per imporre un nuovo modello di sessualità neutro e indifferenziato, coerente con il profilo antropologico precarizzato dell’individuo senza identità, modellato dai processi dell’economia finanziarizzata e dalle funzioni del consumo.

La fallacia logica sta nel transito dalla giusta lotta contro l’omofobia, ossia contro la discriminazione di ciò che non rientra nel modello eterosessuale, a un’impostazione educativa centrata sulla convinzione che tale lotta debba fondarsi sulla neutralizzazione dell’identità culturale e sulla decostruzione dell’identità sessuale. Ancora una volta, in luogo del giusto rispetto delle differenze si ha il loro annullamento, con annesso trionfo dell’indistinto coerente con l’omologazione mercatistica.

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