Uno dei carabinieri indagati per la morte di Stefano Cucchi su Facebook aveva scritto: “L’attacco all’Arma è sotto gli occhi di tutti”. Oggi il comandante in capo il generale Tullio Del Sette sembra rispondere indirettamente con una dichiarazione inequivocabile parlando di una vicenda “estremamente grave” sulla quale i Carabinieri sono “accanto alla magistratura con forza e convinzione, come sempre, per arrivare fino in fondo alla verità”. Un pensiero che l’alto ufficiale aveva già espresso a dicembre del 2015 in occasione dell’apertura dell’inchiesta nei confronti dei militari. “È grave il fatto che alcuni carabinieri abbiano potuto perdere il controllo e picchiare una persona arrestata secondo legge per aver commesso un reato – dice Del Sette – , che non l’abbiano poi riferito, che alcuni altri abbiano potuto sapere e non lo abbiano segnalato a chi doveva fare e risulta aver fatto le dovute verifiche, se tutto questo sarà accertato”. E “grave è anche il fatto che queste cose possano emergere soltanto a partire da oltre 6 anni dopo, nonostante un processo penale celebrato in tutti i suoi gradi”. Per Del Sette “nessuna delegittimazione può derivare da notizie e iniziative mediatiche, legittime e comprensibili”.

I carabinieri che il geometra romano – e cioè Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco – sono ritenuti dalla procura di Roma responsabili del pestaggio del giovane geometra. Ai tre è contestata anche l’accusa di abuso di autorità, per aver sottoposto Cucchi “a misure di rigore non consentite dalla legge” con “l’aggravante di aver commesso il fatto per futili motivi, riconducibili alla resistenza di Cucchi al momento del fotosegnalamento“.

“Siamo, io, l’Arma dei Carabinieri e tutti i carabinieri – aggiunge Del Sette, coinvolto nell’indagine Consip – accanto alla magistratura con forza e convinzione, come sempre, per arrivare fino in fondo alla verità, per poi poter adottare con tempestività, con giustizia trasparente, equanime e rigorosa, i dovuti provvedimenti, giacché è gravissimo, inaccettabile per un carabiniere, rendersi responsabile di comportamenti illegittimi e violenti”. Del Sette si dice inoltre a nome di tutti i carabinieri “rattristato e commosso dalla triste vicenda umana di Stefano Cucchi, prima e dopo quel 15 ottobre 2009, addolorati delle sue sofferenze, della sua morte, quali che siano le cause che hanno concorso a determinarla, vicini ai suoi familiari. Non può lasciare nessuno indifferente quel suo corpo sottile, quel suo volto tumefatto che abbiamo visto nelle fotografie mostrateci con quei segni profondi delle vicissitudini e delle sofferenze patite. Rispetto, perciò, per tutto questo e determinazione nel ricercare la verità, nel perseguire quelli che dovessero risultare responsabili di reati, di condotte censurabili sotto ogni profilo”.

L’accertamento delle responsabilità, prosegue ancora il generale, “comporterà, se vi sarà, dolore e amarezza, ma nessuna delegittimazione può derivare da notizie e iniziative mediatiche, legittime e comprensibili. Non sfugge a nessuno, credo” aggiunge infatti, “che decine di migliaia di carabinieri assolvono quotidianamente, in Italia e apprezzatissimi anche all’estero, la loro missione a tutela della legge e della gente, con professionalità, impegno, abnegazione, rischio continuo per la loro incolumità, come attestato dalle decine di infortunati, contusi e feriti di ogni giorno, e profonda umanità nelle migliaia di servizi, interventi, investigazioni di ogni giorno, nelle decine di migliaia di arresti ogni anno, dei quali tutti i cittadini possono avere conoscenza grazie ai mezzi di informazione”.

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