Avevo in mente già da qualche giorno di dedicare il primo post del nuovo anno a Roger Federer e mentre sorseggio un caffè la tv trasmette un bel documentario dal titolo “The Roger Federer Story”, così mi sono fiondato al pc mosso dalle emozioni del ricordo. Già, la memoria.

Il documentario mi ha fatto l’effetto del romanzo, già concluso, o, parlando più appropriatamente di un film, i titoli di coda. Siamo a questo? Il 2017 contiene già un numero chiave, il 17. Scaramanzie a parte, esso ricorre dal lontano 2012 come record ultimo di Federer, il numero di slam vinti. Il settimo Wimbledon su Murray è stato l’ultimo capolavoro portato a termine.

Sì, anche alcune semifinali o finali raggiunte dopo sono state dei capolavori per me, ma per la dura legge dei numeri, ahimè, no. Il 17 ricorre adesso sotto forma di posizione in classifica Atp e la settimana che precede l’inizio degli Australian Open ci dà un Federer al diciassettesimo posto del ranking mondiale, roba che non si vedeva dal 28 maggio 2001, un’eternità. Numeri su numeri ma quello che importa è che il Re è tornato.

La Hopman Cup a Perth è stata solo un test o poco più: in coppia con Belinda Bencic ha perso contro la Francia di Gasquet e Mladenovic e poco dopo ha perso con il giovane Zverev, ma tutto sommato ha sfoggiato una condizione atletica positiva.

Federer cercava risposte e qualcuna è arrivata anche fuori dal campo. Eurosport che si è dovuto accaparrare in fretta e furia i diritti della Hopman Cup e le ottomila persone che hanno seguito il suo primo allenamento (aperto al pubblico e gratuitamente per volere dello stesso Roger) ci danno la dimensione di un’icona che non vuole ancora finire in un museo.

Andrà avanti ancora, ascoltando il suo corpo e sfidando il tempo in base alle sensazioni. Evidentemente, quelle di Perth sono state buone, tanto da farlo spostare a est per cambiare palcoscenico. A Melbourne lo aspetta il suo diciassettesimo Australian Open (guarda un po’) e per provare a onorare un torneo che ha vinto quattro volte stavolta richiama la concentrazione e si allena a porte chiuse. La mente deve essere sgombra da distrazioni perché Roger sa che ogni partita sarà un test e questo 2017 è un continuo salto nell’ignoto: la condizione, la voglia, le motivazioni, gli avversari, la famiglia, i soldi, i tifosi, sono costanti nella carriera di un tennista che, viste con gli occhi di un trentaseienne, diventano variabili che possono determinare qualsiasi scelta.

Ciò che adesso gli appassionati temono di più è che lasci alla prima delusione, mentre il sogno proibito dei più accaniti tifosi del Re è che ci regali una settimana da sogno in uno dei “suoi” tornei e ritocchi a 18 quel record. Lo slam numero 18, per me, era lo US Open del 2009, l’unico perso in finale con un tennista che non fosse Djokovic o Nadal (con Martín del Potro al 5° set).

Ma adesso non è il momento dei rimpianti. Roger Federer non ne ha mai avuti e per questo ogni volta che scende in campo ti costringe a tifare per lui. Io lo farò anche questa volta finché il Re non abdicherà definitivamente.

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