La partita più importante è quella del tessile, per il numero degli addetti e le posizioni rigide di Confindustria. Ma intorno agli oltre 400mila lavoratori di quell’industria ritenuta il fiore all’occhiello del made in Italy ci sono altri settori nei quali il rinnovo del contratto nazionale ha subito un rallentamento o è in fase di stallo, nonostante i precedenti accordi siano in molti casi scaduti da un anno. A conti fatti, su una platea di 1,5 milioni di occupati tra chimico-farmaceutico, energia, manifatture, artigiani e diverse nicchie industriali, quasi due terzi sono in attesa del rinnovo per il periodo 2016-2019. Novecentomila lavoratori rivendicano aumenti salariali e si vedono rispondere dalle organizzazioni datoriali – come successo ai tessili – che i riconoscimenti potrebbero essere “anche” di natura economica. Sarà quindi un gennaio caldo, tra scioperi e agitazioni, per provare a sbloccare i tavoli dove Cgil, Cisl e Uil sono arrivate tenendosi sottobraccio per non cedere ulteriore terreno. Anche perché le resistenze riguardano settori nei quali storicamente i rapporti tra datori di lavoro e sindacati sono morbidi, come quello elettrico e del petrolio.

Nel tessile la partita più importante – Così mentre i lavoratori del chimico-farmaceutico hanno firmato il rinnovo in anticipo e anche gli addetti nella gomma-plastica, vetro, ceramica, pelli e occhiali possono dormire sonni tranquilli, altrove la tensione cresce. Il 13 gennaio, a Firenze, durante Pitti Uomo, i 420mila addetti del tessile-abbigliamento scenderanno in piazza per protestare contro il mancato rinnovo del contratto, scaduto il 31 marzo 2016. Davanti alla richiesta dei sindacati di 100 euro medi in più in busta paga, la risposta di Smi-Confindustria è stata gelida. La volontà delle imprese è quella di non anticipare più l’inflazione sulla base delle previsioni, ma di pagarla ex-post. “Una richiesta frutto dell’accordo dei metalmeccanici, appetibile per le associazioni datoriali – afferma Emilio Miceli, segretario generale della Filctem-Cgil – Un modello che porterebbe gli aumenti nelle tasche dei lavoratori con 18 mesi di ritardo e già in parte svalutati. La richiesta è irricevibile e fortunatamente il fronte sindacale è compatto”. Tanto che il 21 dicembre gli addetti sono scesi in strada a Milano e bisseranno il 13 gennaio a Firenze. Accanto a loro, molto probabilmente, gli 80mila lavoratori nel calzaturiero, sempre che l’incontro in programma tre giorni prima non appiani almeno in questo settore le divergenze emerse. “Per inquadrare la situazione, basti pensare che i tessili non scioperavano per un rinnovo contrattuale da venti anni, ma la svolta neo-ideologica di Confindustria ha contagiato le associazioni di categoria”, spiega Paolo Pirani della Uiltec-Uil. Con alcune aziende pronte però a prendere le distanze: La Perla, per esempio, ha lasciato gli industriali ad ottobre in disaccordo con le posizioni assunte sul rinnovo contrattuale. “Del resto – aggiunge Pirani – non si può pensare a modelli unici, perché ogni settore ha le sue specificità”.

Gas e acqua: incognita Jobs Act – Come quello del gas e acqua, in allarme a causa delle gare per le concessioni in partenza a gennaio. Sui 50mila addetti in questo settore incombe un rischio derivante dal Jobs Act. “In tutti i settori sottoposti a gara, c’è un buco al quale finora governo e imprese non hanno prestato attenzione, nonostante diversi incontri nel corso dei quali abbiamo sottoposto il problema. Se la concessione finisce a una nuova impresa, questa ha l’obbligo di assumere i dipendenti della precedente concessionaria, ma non c’è alcuna norma – dice il segretario della Uiltec – che imponga anche le medesime condizioni contrattuali per i lavoratori, anche se hanno una rilevante anzianità di servizio. Un aspetto preoccupante, un paradosso, che potrebbe implicare l’assunzione con il contratto a tutele crescenti per chi fino a qualche mese prima aveva ben altre garanzie”.

Le questioni elettrici e petrolio – È rottura anche al tavolo degli elettrici. Il 24 novembre sono stati annunciati il blocco degli straordinari e 8 ore di sciopero per il prossimo 13 o 16 gennaio. Il contratto, scaduto da un anno, riguarda circa 60mila addetti e vede le associazioni datoriali e i sindacati molto distanti tra proposte e richieste con uno scontro simile a quello del tessile riguardo l’adeguamento ex post all’inflazione. “Si tratta di un’interruzione sorprendente della trattativa – dice Pirani – perché parliamo di un altro settore nel quale le relazioni sono sempre state positive. Ma se qualcuno pensa di stravolgere il contratto nazionale, non ci stiamo”. È tortuosa anche la trattativa riguardante l’energia-petrolio: dal 20 settembre, il negoziato è in stallo principalmente a causa della proposta di aumento dei minimi retributivi di 65 euro, una cifra ritenuta “assolutamente risibile” dai sindacati. Le parti si aggiorneranno il prossimo 23 gennaio, alla ricerca di un accordo che coinvolgerebbe circa 37mila lavoratori, già in sciopero a ottobre.

Gli altri settori: dall’industria mineraria al settore dei giocattoli – In attesa di rinnovo ci sono anche gli operai dell’industria mineraria (6mila persone), il settore dei giocattoli-modellismo (5mila) e dei coibenti (1.500 lavoratori), oltre ai 250mila artigiani e ai 22mila addetti nel comparto concia per i quali è previsto un incontro a metà gennaio. Tanti tavoli aperti, quasi un milione di lavoratori in attesa che la situazione si sblocchi. “Ho l’impressione che occorra un ripensamento sull’utilità del contratto nazionale in un periodo di crisi occupazionale, in un’era nella quale ci avviamo verso mutamenti organizzativo-tecnologici e davanti a un governo che finora non ha fatto granché – conclude Pirani – Abbiamo bisogno di modelli partecipativi oppure tornerà a essere importante la mobilitazione dei lavoratori, che dovranno farsi sentire”.

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