di Giusy Cinquemani

Per quasi tre quarti di secolo ci si è cullati la coscienza sull’Olocausto su una grande bugia: la bugia del non sapere. Quella tragedia e quella bugia hanno dato vigore al valore della memoria e della testimonianza. Libri, film, musei, giornate per trovare, amplificare e conservare luoghi, tracce, oggetti, umani (l’ultimo sopravvissuto, l’ultimo carnefice) per non dimenticare.

La psicoanalisi ci insegna da sempre che tante volte la bugia salva la mente. Una bugia come quella del film La vita è bella, di Benigni. Dove un papà salva la mente e la vita del figlio con la bugia del gioco del campo di concentramento.

Allora, potremmo pensare che le nostre menti del secolo scorso non reggevano la verità dell’Olocausto e abbiano dovuto raccontarsi la bugia del non sapere per sopravvivere? Come a dire: se avessimo saputo le cose sarebbero andate diversamente, saremmo impazziti o avremmo reagito. Chissà.

Certo siamo cambiati dopo questo secolo di memoria. Siamo cambiati dentro e fuori. Oggi sappiamo, nel senso che siamo informati. Le tragedie le vediamo in diretta. Siamo informati su Aleppo. E Aleppo dichiara, con tutto il suo dolore in diretta il crollo della bugia sull’Olocausto e la fine della retorica sulla memoria.

Aleppo e tutte le vittime delle tragedie umane prodotte dagli umani, non avranno memoria, né ricordo, né oblio. Perché non si potrà utilizzare la bella bugia del non sapere, non ci si potrà avvantaggiare della rimozione e del ritorno del rimosso. Aleppo non potrà essere rimossa. Ad Aleppo è toccato in sorte un meccanismo di difesa della mente più primitivo, più grave: la scissione, quel meccanismo che permette di vedere e non percepire. Sapere, ma non comprendere. Ingabbiata per sempre nel limbo dell’eterno accadere, per Aleppo, e per quello che verrà, sembra esserci a disposizione la sola memoria dei computer.

@GiuCinque

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