di Enzo Marzo

Il 4 dicembre c’è stata una vera svolta nella storia del nostro paese. I cittadini hanno pronunciato con chiarezza estrema una severa condanna nei confronti della classe dirigente. Naturalmente il principale sconfitto è Matteo Renzi ma il pronunciamento colpisce definitivamente la politica delle larghe intese sul filo dell’incostituzionalità testardamente voluta da Napolitano. Si tenderà a far cadere questo voto ben presto nell’oblio, ma certe fratture storiche non si risaldano. Prima delle votazioni qui abbiamo scritto che sicuramente ci sarebbe stato un perdente: il paese, che Renzi ha voluto spaccare in due su un tema che vorrebbe la massima unirà di tutti. C’è riuscito solo in parte, perché l’entità della sua sconfitta è stata tale che rende inverosimile un conflitto permanente ma forse necessaria una fase completamente muova. Renzi difficilmente si riprenderà, non perché i suoi avversari siano più forti ma perché ha dimostrato tutta la sua incapacità politica. I suoi errori sono stati catastrofici, infantili. Se fosse realista, per il suo bene dovrebbe mantenere la promessa e cercarsi un altro lavoro.

Nella nostra ripetitiva battaglia sull’uso delle parole, dobbiamo notare che anche questa volta si è abusato di definizioni sbagliate pur di colpire gli avversari. Davvero non si capisce lo smodato uso della parola “populismo”. Ora per politica populista si intende un minestrone di xenofobia, nazionalismo, razzismo. Ma questa è l’estrema destra, che da sempre si fonda proprio sugli elementi ora elencati. I Trump, le Le Pen, i Salvini  non sono “populisti”, sono esponenti di estrema destra che ora gridano più di un tempo prossimo quelle parole d’ordine. Non si vede perché si debba tirare in ballo il “popolo”, che è molto variegato e in gran parte non fa suoi quei disvalori. La vittoria del No non è la vittoria del populismo, ma la sconfitta della demagogia, che – basta aprire la Treccani – è quella  pratica politica tendente a ottenere il consenso delle masse lusingando le loro aspirazioni, spec. economiche, con promesse difficilmente realizzabili”. Una definizione che calza a pennello al peronismo renziano. Abbiamo assistito durante tutta la campagna referendaria a promesse, mance, menzogne, catastrofismi. Ciò avviene spesso nella lotta politica, ma in questo caso c’è stato un salto di qualità: i renziani si sono abbandonati alla demagogia sfacciatamente, come se questa fosse un valore. Pur di vincere hanno legittimato l’uso monopolistico dei media, hanno avallato il clientelismo dichiarato. La loro è stata l’applicazione rigorosa dell’Antipolitica.

Il 4 dicembre ha vinto invece la politica. I cittadini hanno capito ciò che era in gioco, e sono andati i votare. I giovani hanno votato in massa contro il presidente del Consiglio più giovane della storia italiana, perché hanno percepito quanta retorica ci fosse nel suo nuovo e nel suo cambiamento. Le ultime esagerazioni di Renzi, quella di presentarsi “contro la casta” attorniato da De Luca e da Verdini, o di prendere dichiaratamente tutti  per i fondelli sostenendo che il Sì avrebbe portato l’Italia a “diventare il paese leader dell’Europa”, hanno fatto il resto.

Il No ha riportato il paese alla sua realtà tragica. Che purtroppo è fatta da un paradigma inedito: lo schema sinistra-destra è stato sostituito da quello che comprende forze diverse che masochisticamente pur per ottenere un piacere immediato fanno di tutto per favorire gli avversari. Il vincitore alla fine risulterà non chi avrà operato meglio ma chi avrà avvantaggiato di meno il competitore. Nella notte delle votazione, ancora a urne non tutte scrutinate, il M5s già butta a mare l’argomento principe della competizione e dichiara che vuole andare alle elezioni anche con quell’Italicum che ancora poche ore prima giudicava incostituzionale. Paradossalmente affiancandosi a Renzi e a Salvini per elezioni truffaldine. Non contento di questa autofustigazione, nelle ore successive insiste e ripete l’errore del dopo-elezioni politiche, assumendosi la responsabilità di far fallire l’unica soluzione seria: un governo istituzionale di scopo, che abbia l’unico obiettivo di costruire col favore del velo d’ignoranza un’organica riforma elettorale destinata a durare, e non come le ultime fatte su misura. Menomale che Renzi (e Mattarella) non sono da meno e replicano il governo precedente. Come se il voto non ci sia stato, ripropongono volti indigesti e rinvio delle elezioni regolari. Il nuovo paradigma ha infatti un codicillo: “Non si prevede un limite all’idiozia e al ridicolo”. Come si è detto: “piacere immediato” e “preparazione della vittoria degli altri”. Chi vincerà alla fine tra questi due incapacissimi gamberi?

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