Se c’è una qualità nel nuovo ministro dell’Istruzione, Valeria Fedeli, è la coerenza. Su questo non ci sono dubbi.

Coerente alla linea Stefania Giannini. Non aspettiamoci alcuna rivoluzione alla Legge 107. I tanti insegnanti arrabbiati, indignati che al referendum costituzionale sono andati a votare No per dare una lezione al governo, possono stare sereni come direbbe Matteo Renzi. Non cambierà assolutamente nulla. Il nuovo ministro è tra i fedelissimi al Partito, non farà sgarri al segretario. Primo fra tutti non toccherà il sottosegretario Davide Faraone, renziano della prima ora. Anzi, ora il suo compito, essendo una con la tessera del sindacato in tasca, sarà quello di buttare acqua sul fuoco alle pretese dei sindacati: il loro linguaggio lo conosce, sarà un lavoro facile.

Coerente all’incompetenza. Ieri cercando tra senatori e deputati qualche informazione su di lei tutti mi hanno detto: “E’ seria”, “Ho lavorato bene con lei”, “Sa fare squadra”.

Ma alla domanda: ne sa di scuola? E’ competente? E’ preparata? La risposta più eloquente mi è arrivata da un deputato del suo stesso partito: “Praticamente un c… ma quando mai un ministro dell’istruzione ne ha saputo di scuola?”. Certo, giusto così. A dirigere presidi, docenti, collaboratori scolastici, rettori, a dare indicazioni sulla valutazione, ad occuparsi di edilizia scolastica, di didattica, di scuola dell’infanzia, non potevano certo metterci uno come il maestro Marco Rossi Doria che vanta il premio Unicef per l’Infanzia, una medaglia d’oro del Presidente della Repubblica per la cultura e l’educazione oltre alla fondazione della onlus “Maestri di strada”. Meglio una, la Fedeli, che per dodici anni si è occupata di maglie e camicie come segretaria generale dei lavoratori dei tessili alla Cgil. Il segnale è chiaro: il vero ministro non sarà lei ma vi saranno uno o due ministri ombra del Pd a orientare chi siede sullo scranno più alto di viale Trastevere.

Coerente alla filosofia di partito. Prima del referendum, Valeria Fedeli intervenendo a L’aria che tira su La7 dichiarava: “Io penso che i parlamentari e le parlamentari si devono porre il tema che se viene bocciata questa riforma, debbano prenderne atto. Parlo di me, chi mi conosce sa che uso in autonomia il mio pensiero e la mia testa: il giorno dopo se ha vinto il No ne devi prendere atto. Non hai a quel punto l’autorevolezza. Ed è giusto rimettere il mandato da parte del premier ma anche con la consapevolezza dei parlamentari. Tolgo l’alibi a chi pensa a chi pensa tanto stiamo lì fino al 2018 perché pensano alla propria sedia. Io non penso alla propria sedia”.

Non ci resta che augurare al nuovo ministro un po’ di incoerenza. Valeria Fedeli arriva al Miur in un momento di svolta significativo per la scuola. Ha due possibilità: usare la serietà che le è riconosciuta da tutti per fare ciò che non ha fatto chi l’ha preceduta ovvero ascoltare gli insegnanti e i dirigenti magari attraverso l’istituzione di un tavolo permanente di maestri e professori dei vari ordini di scuola che possano riportare al ministro le reali esigenze dell’istruzione e non quelle mediate dai polverosi dirigenti del ministero e giullari di partito che difendono come dice lei “la propria sedia”. Oppure restare nel ricordo degli italiani come l’ennesimo ministro di passaggio, messo lì tanto per.

Lo dimostri da subito prendendo in mano la questione della mobilità, dando retta ai dirigenti che hanno chiaramente spiegato come la “chiamata diretta” sia stata un fallimento; eliminando la mobilità sugli ambiti e riportandola sulle scuole. Lo dimostri occupandosi immediatamente del piano nazionale di formazione che rischia di naufragare se sarà lasciato in mano agli ambiti senza alcun orientamento e direzione: serve avere chiaro che offerta di formazione dare ai nostri docenti. Lo dimostri al più presto mandando avanti una legge seria sul tema disabili; riprendendo in mano i fallimentari organi collegiali che hanno portato alla guerra tra genitori e docenti; prendendo atto che la scuola secondaria di primo grado ha bisogno di una revisione. Dimostri l’incoerenza che serve portando nel suo staff non nomi indicati da questo o da quello ma i migliori presidi, professori e maestri della nostra scuola, quelli che ne sanno davvero di vita tra i banchi. Lo faccia da subito mettendo sulla sua scrivania quattro libri: la “Costituzione”; “Lettera a una professoressa” di don Lorenzo Milani; “La pedagogia della lumaca” di Gian Franco Zavalloni; “Il paese sbagliato” di Mario Lodi.

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