Leggo troppe sciocchezze scritte sulla vittoria di Trump che diventa il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America. Il suo programma politico pare un concentrato del “Mein kampf“, lo statuto del gruppo per la supremazia bianca, l’urlo del re di eterolandia in lotta contro la lobby frocia che secondo gli omofobi parrebbe voler invadere il mondo, e poi c’è la bandiera misogina sventolata a più mani e non necessariamente dagli uomini.

Il suo mondo biondo, con i peli biondi, intendendo in quanto tali financo quelli del culo, è stato scelto però non soltanto dai membri del Ku klux klan o da gente che è pronta a sparare con la fiocina ogni femmina di passaggio. Lo aveva detto tempo fa Michael Moore nel suo TrumpLand  (e non si era fatto attendere il video del gruppo russo Pussy Riot) descrivendo la probabile vittoria di Trump come un gigantesco vaffanculo alla classe media statunitense, qualunque sia il colore o il genere che la connoti, e se prima avevano votato Obama come l’uomo della speranza, che poi di speranza non ne ha data tantissimo, nevvero, oggi si affida a questo elemento che fa comizi in rutti, alterna un “celodurismo” universale ad un sempiterno codice linguistico tanto caro alle destre. Estreme. Le destre dico.

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Sono estreme le destre che ripetono frasi ad effetto attirando le simpatie di gente stanca, povera e incazzata. Si dice che sia la sconfitta epocale, con tanto di citazioni sessiste disegnate nelle prime pagine di “Libero” e di “La Verità” di Belpietro, per una Hillary Clinton troppo moderata, diciamo pure una rappresentante del “femminismo bianco, borghese” che occupa posti di potere e vanta il primato della giustezza femminile senza tuttavia comprendere che la gente non si fa prendere in giro, né tantomeno si lasciano prendere in giro le donne, le femministe, con l’uso del brand “donna” che fa tanto pinkwashing e non c’entra un accidenti con le conquiste del femminismo.

15037126_696516463832609_33502129988175861_nLa Clinton sta al femminismo come Trump sta al movimento Black lives Matter. La lezione che alcune dovrebbero trarne è che, come ha detto Susan Sarandon in più di una occasione durante questa campagna elettorale, non basta essere femmina e averci lo stesso organo genitale per pensarla allo stesso modo. Non l’ha detta proprio così ma quasi e ha voluto dichiararlo con forza sostenendo le proprie idee nel bel mezzo di promesse Madonnesche e poi negate di pompini – cose belle e che pur giudico dissacranti rispetto a una signora tutta d’un pezzo come la Clinton – sapendo che non si può ogni volta invocare l’unità tra donne, così come spesso le nostre istituzionali, femministe bianche, etero e borghesi, fanno anche in Italia, per portare voti al partito, a se stesse, agli interessi istituzionali e di potere, incluso quello economico, in special modo se non l’hanno mai seriamente messo in discussione.

Clinton non ha perso perché “donna”, così come leggo da alcune firme che mi sorprendono per quanto le avevo sopravvalutate, ma perché ha votato sì alla guerra in Iraq, perché il marito, e dunque anche lei, fecero scempio con un intervento guerrafondaio in Kosovo. Clinton perde perché alla fine non basta essere donna per immaginarsi superiori al mondo e per chi dice che allora dovranno, le femmine d’Oltreoceano, accontentarsi di un misogino volgarotto il cui simbolo avrebbe potuto essere un incrocio tra un braccio e un pene alzato, per chi dice, insomma, che bisognerebbe sempre accontentarsi del meno peggio – e già mi pare di sentire le donne del Pd – questa dovrebbe essere una valida lezione a insegnare che di compromessi tante donne sono stufe e che non si può usare l’arma della paura per imporgli una presidenta che si dice avrebbe rivoluzionato il mondo.

Il Brasile ce l’ha avuta una presidenta socialdemocratica eppure la gente è stata ugualmente massacrata a manganellate durante le proteste per gli espropri territoriali e le speculazioni pro Fifa. Ce l’hanno avuta anche altre nazioni e non è cambiato un tubero di niente. La lezione che dovrebbero imparare le femministe bianche, etero e borghesi, che tutto vorrebbero dominare, immaginando di poter chiudere il cerchio appropriandosi dei femminismi  afroamericani, postcoloniali, queer, intersezionali, trans, sexpositive excetera, è che se vogliono una presidenta “donna” dovranno anche candidarne una che corrisponda all’idea della elettrice e dell’elettore medio che sta nel centrosinistra. Diversamente sarà la destra a candidare una donna e a farla eleggere e con ciò avranno definitivamente fatto marameo ai democratici.

 

Se candidano una Clinton, oltretutto, vanno a pescare più o meno nello stesso elettorato di Trump che è stato eletto, non dimentichiamocene, anche perché tantissime donne lo hanno votato. Tanto basta a far comprendere che l’utopia secondo la quale il mondo si divide in uomini stronzi e donne genie resta, per l’appunto, una utopia. Di più. E’ un autentico delirio.

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Ha perso Clinton e non il femminismo. Io non ho perso nulla e nulla avrei guadagnato con la Clinton presidente degli Stati Uniti D’America. La Nato non si sarebbe tolta dalle scatole e non avrebbe smesso di usare la Sicilia come fosse una portaerei gigantesca per gli interessi Usa. L’economia americana non avrebbe smesso di soffocare la nostra e l’imperialismo Usa non avrebbe smesso di mettere in pericolo l’Occidente facendo scelte orrende che esasperano gli integralismi di chi non può fare a meno di restare strett@ nella propria cultura d’origine, fosse anche quella del 18esimo secolo.

I poveri, i potenziali elettori di un destrismo indeciso ed oscillante, perfino i fanatici che chiederanno lo sbriciolamento di moschee e delle case dei musulmani – e quando non accadrà, perché la costituzione americana comunque non lo permette su quel suolo, saranno delusi nei loro propositi d’odio – quando tutti si renderanno conto che un vaffanculo dura un attimo e poi dovranno fare i conti con chi li lascerà morire di povertà, di cure sanitarie mancate, di fame, di ignoranza, di aggressioni razziste, di violenza domestica o chissà che altro, quando vedranno come va il mondo targato Trump, con il suo capello insicuro, con l’insicurezza che traspare da ogni suo gesto, lui, povero insulso individuo che per rappresentarcelo più grosso si circonda di bionde, naturali o ossigenate, cambieranno rotta, ancora.

C’è solo da capire se la prossima volta un altro candidato o una candidata degni di questo nome sapranno motivare gli elettori o le elettrici o se i partiti offriranno solo un’altra figura d’attrazione dei Vaffanculo. Stavolta ha vinto Waldo. Domani, invece?

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