Mentre le donne continuano, in un paese ‘civile‘ come il nostro, a essere uccise da mariti e fidanzati al ritmo di una ogni due giorni (la media è aumentata nelle ultime 2 settimane, in una vertigine spaventosa), penso che sia un gran bene che si discuta di quello che sta succedendo, vicino e lontano, riguardo al tema donne e potere nei luoghi della rappresentanza. Non credo che per magico automatismo la violenza cesserà con più donne ai posti dove si prendono decisioni, ma certamente, dal punto di vista educativo e culturale, poter vedere fin dall’infanzia molte donne svolgere ruoli autorevoli nutre le coscienze meglio rispetto all’apartheid sessista nel quale solo i maschi governano, decidono, guidano, dettano legge e le donne sono solo delle cornici estetiche, oppure solo delle madri o solo figure di secondo piano ‘dietro ai grandi uomini’.

Prima o poi una donna, (dopo un afroamericano), sarebbe arrivata a competere per la presidenza degli Stati Uniti: realisticamente se c’era una che poteva farcela questa donna era, come sta accadendo, Hillary Rodham (Clinton). Ora c’è lei (quasi) al posto del marito e nel prossimo futuro potrebbe essere possibile dire la Presidente degli Stati Uniti. Sono emozionata? Sì, lo sono. Possiamo esserlo come attiviste? E’ sufficiente che in uno dei luoghi più potenti del pianeta vada una donna per dire che le cose stanno cambiando nella sostanza e in una direzione lontana dalle logiche patriarcali?

No, almeno per me, che non mi accontento della pura differenza di genere. Perché avere la vagina invece del pene non significa automaticamente mettere al mondo un pensiero migliore, evoluto e alterativo a quello patriarcale.  Ma Hillary Rodham (Clinton) è diversa dalla governatrice ultraconservatrice Sarah Palin, e molta influenza, nella pratica politica democratica dell’eventuale futura presidente, potrebbe avere la visione di Bernie Sanders, citato non a caso dalla candidata nel suo discorso d’investitura. Vedremo, e davvero non vorrei Trump seduto alla Casa Bianca.

Tornando a noi, per ragionare sulla (forse) futura sindaca di Roma, la pentastellata Virginia Raggi, o dell’importante affermazione della candidata 5 stelle a Torino Chiara Appendino: sono contenta di vedere donne giovani competere, e talvolta vincere, per provarsi nel governo della cosa pubblica. A prescindere dall’essere o meno d’accordo sulle idee della loro formazione politica vale anche qui da noi la necessità di rompere il granitico monopolio maschile nella rappresentanza e, soprattutto, nella pratica politica.

Quando, anni fa, la maestra Lidia Menapace disse che bisognava smettere di pensare che le donne dovessero (sempre) essere meglio degli uomini per guadagnare consenso feci un salto sulla sedia: quindi andava bene qualunque donna purchessia? No, rispose Menapace. Ma è necessario, nel frattempo che si lavora per proporre visioni, progetti, pratiche femministe, che molte donne accedano ai luoghi a loro preclusi. Se pensiamo che solo da 70 anni il suffragio è davvero universale in Italia viene da dire che siamo all’inizio di una storia ancora tutta da scrivere.
Dentro a questa storia immagino molte delusioni, specialmente per chi, nella generazione baby boomers, ha vissuto l’onda alta del femminismo, quella dei diritti, dell’uguaglianza e ha dovuto poi familiarizzare con vocaboli come olgettine e veline, con visioni da macelleria sessuale quali l’acronimo “milf” (che indica l’espressione di registro volgare Mother I’d Like to Fuck (“Madre che mi vorrei scopare”), con la persistente convinzione che le donne violentate se la siano cercata, diffusissima tra le persone più giovani, e con farmacisti e medici che obiettano preferibilmente a una sola legge dello stato, indovinate quale.

Ma ci può essere molto ancora da giocare in senso costruttivo: dando credito, incalzando e polemizzando in modo positivo con le ambizioni delle sorelle minori (o delle figlie) è possibile riattivare quell’onda. Abbiamo, per decenni, dato credito alla politica maschile senza pretendere che questa ci corrispondesse al 100%: perché reclamare assoluta consonanza, oggi, dalle donne che stanno provando a entrare nei palazzi del potere?

Se consideriamo lo spettro caleidoscopico di saperi e di eredità che il pensiero femminista ha costruito fin qui come la dote che mettiamo a disposizione delle figlie e delle sorelle minori possiamo guardare alle donne che scelgono di provare ad accedere ai luoghi di potere come a delle interlocutrici interessanti: non tutte, certo, perché molte di loro non hanno intenzione di cambiare le cose, e questa è storia nota. Ma ci sono anche quelle che sfidano il potere maschile non solo per accedervi e prenderne una fetta senza modificare l’ordine delle cose: dalle madri costituenti in avanti la politica è cambiata anche perché, dentro e fuori le istituzioni, ci sono state migliaia di donne che hanno lavorato, per se stesse e per le altre, (oltre che per gli uomini) affinché giustizia, benessere, uguaglianza e pace fossero i fari dell’agire comune. Non dimentichiamolo, e ricordiamolo alle più giovani.

I nuovi Re di Roma

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