Roberta Zarcone è un fiume in piena. La sua è una storia di coraggio e di tentativi, alcuni falliti, altri andati a buon fine. Laureata a Palermo in Ingegneria edile-architettura, a 31 anni può vantare un curriculum che tanti colleghi ben più grandi di lei potrebbero invidiare. In questo percorso, però, di porte chiuse ne ha trovate tante. Al punto da volersene andare in Francia. “Dopo la laurea ho cominciato a seguire alcuni progetti nello studio di un mio professore, senza essere retribuita – racconta a ilfattoquotidiano.it -, dopo qualche mese mi convoca nel suo ufficio e io tra me e me penso: ‘Forse mi vuole parlare del bando per il dottorato appena uscito’”. E invece no: “Voleva propormi l’ennesimo lavoro gratis – ricorda – e inoltre mi sconsigliò vivamente di partecipare al concorso”.

Roberta resiste un’altra settimana, poi fa le valigie per trasferirsi a Roma: “Avevo vinto una borsa di studio di tre mesi presso il ministero degli Esteri – racconta -, dove mi dedicai a uno studio sui costi delle case del personale consolare e alla fine tutti mi fecero i complimenti, ma poi mi dissero che non c’era posto per me”. Roberta è costretta a tornare a Palermo, dove si iscrive a un master: “E intanto per mantenermi lavoravo tutte le mattine in un call center – ricorda -, dove se riuscivi a fissare almeno 30 appuntamenti venivi pagato 250 euro al mese”.

“Un giorno il prof mi chiama in ufficio, pensavo fosse per parlarmi di un bando. E invece mi ha proposto l’ennesimo lavoro gratis”

Quando attraverso il master le viene offerta la possibilità di fare un tirocinio a Milano, non ci pensa su due volte: “Anche quella, però, fu una grossa delusione. Mi misero a pulire e ricontrollare i file da mandare ai clienti, con un rimborso spese di 200 euro al mese”. Finita quest’esperienza Roberta fa ritorno in Sicilia e dopo un periodo di stallo trova un impiego per una ditta che si occupa di fotovoltaico: “Dopo 10 giorni mi hanno spedito in Brasile per tre mesi, dove giravo alla ricerca di terreni adatti per gli impianti – ricorda -, mi piaceva il fatto che fosse un lavoro che mi permetteva di viaggiare, ma non era quello per cui avevo studiato”.

Di lì a poco, però, qualche raggio di sole inizia a fare capolino: “Avevo vinto una borsa di studio di sei mesi con l’università di Palermo per fare ricerca all’estero – ricorda –, così ho dato le dimissioni e ho mandato la mia candidatura presso una scuola di architettura parigina, la Paris Malaquais”. Nel novembre 2012 comincia la sua avventura francese e a parte qualche piccolo inconveniente (che risponde al nome di un appartamento di 9 metri quadri, al sesto piano senza ascensore) il vento inizia a girare per il verso giusto: “Finalmente mi sono sentita parte di un vero progetto e dopo due mesi dall’inizio del mio lavoro di ricerca il mio professore mi ha chiesto: ‘Vuoi fare lezione?’ – ricorda -. Io accettai, ovviamente, pensando che intendesse farmi fare da assistente, invece mi trovai a insegnare tutta la parte di esercitazioni del suo corso, senza sapere ancora bene la lingua”. Quello con l’insegnamento è stato un colpo di fulmine: “Ho capito che era quello che volevo fare nella vita”. Così continua a darsi da fare: “Ho vinto il dottorato, ma i primi due anni non ho ricevuto fondi, quindi per mantenermi mi dividevo tra le lezioni e qualche lavoretto negli studi di ingegneria. Appena c’erano finanziamenti, però, l’università mi faceva qualche contratto extra per seguire dei progetti”.

“A due mesi dall’inizio del mio lavoro di ricerca il mio professore mi ha chiesto: ‘Vuoi fare le lezioni?’”

In primavera Roberta discuterà la sua tesi, ma nel frattempo il suo sogno è diventato realtà: “L’anno scorso il mio professore mi disse che c’era il concorso pubblico per insegnare nelle scuole di architettura e mi suggerì di provare comunque, anche se ero poco conosciuta. Io decisi di fare domanda a Lille, perché c’erano più chance rispetto a Parigi”. La strada sembrava tutta in salita: “Per la mia classe di insegnamento ci presentammo in 60, ma arrivammo solo in due all’orale – racconta -. Non pensavo di avere possibilità, perché lui era francofono e laureato nella migliore scuola di ingegneria della Francia e invece hanno preso me”. Ora Roberta è maître-assistant – ruolo paragonabile a quello del professore associato in Italia – presso l’Ecole nationale superieure d’architecture et de paysage di Lille e non potrebbe essere più felice.

Ma non è l’unica connazionale ad aver fatto questa scelta: “Nel 2009 il ministero francese pubblicò un rapporto sullo stesso concorso a cui ho partecipato io, in cui la giuria s’interrogava sulla presenza massiccia di italiani, chiedendosi perché pur essendo così qualificati non fossero in grado di trovare spazio nel nostro Paese”, racconta.

“Nel 2009 il ministero francese ha pubblicato un rapporto: si chiedeva perché così tanti italiani avessero partecipato al mio stesso concorso”

Quando viveva ancora in Italia, Roberta si era anche iscritta nelle liste per gli insegnanti di terza fascia: “Passai giornate intere a capire per quali discipline potevo propormi con i miei crediti, ma non mi hanno mai chiamato fino a quando non è uscito il piano della ‘Buona Scuola’ – racconta -, ora invece ricevo spesso mail per insegnare sostegno, io che non ho alcuna competenza in questa materia e ogni volta che leggo quelle comunicazioni mi chiedo quanti accettano questo ruolo pur essendo privi di qualsiasi nozione di pedagogia o psicologia”, aggiunge.

Quando le chiedi di Palermo, risponde così: “È una città difficile, ma quando sono partita non escludevo di tornare un giorno”, ammette. L’esperienza francese, però, ha cambiato le carte in tavola: “Ora che ho conosciuto un nuovo modo di vivere non potrei mai tornare a quello vecchio”. E la sua voce è quella di un’intera generazione: “Non siamo cervelli in fuga, siamo semplicemente persone che in Italia sono impossibilitate a trovare il loro posto”.

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