L’Italia chiamata al voto del 4 dicembre per decidere il futuro della sua carta fondamentale e cioè delle regole che presiedono i rapporti tra le istituzioni e tra i cittadini e lo Stato è un paese provato da ultimo, oltre che dagli effetti di una crisi tutt’altro che risolta, come confermano i dati sulla povertà, anche dalla devastazione di un sisma che si ripresenta con inquietante “continuità”. Il terremoto, con la paura e il senso di assoluta precarietà che è riuscito a instillare anche in chi non ha subito gli effetti più terribili, e cioè in ognuno di noi,  è ritornato tragicamente ad essere la notizia che sovrasta tutte le altre e che ci ha tenuto incollati alle immagini dei crolli in diretta, delle chiese ridotte a facciate pericolanti, delle crepe sui siti più affascinanti di Roma, sui salvataggi miracolosi di creature già provate e scampate alla notte terribile del 24 agosto.

Se come viene ripetuto spesso da molti, la riforma costituzionale ed il voto del 4 dicembre non sono mai stati in cima ai pensieri degli italiani afflitti da ben altri problemi e interessati a priorità più concrete, come il lavoro negato e la precarietà selvaggia, ora davanti ad un’emergenza spaventosa ed infinita in un paese già soggetto a malversazione ed incuria del patrimonio ambientale e paesaggistico è lecito immaginare che i “disinteressati”, gli astenuti e gli indecisi possano aumentare.

Ma soprattutto quello che è emerso dall’ultima rilevazione di Emg per La7, dopo alcune settimane che avevano registrato una riduzione abbastanza costante dell’area dell’indecisione a favore del Sì, è stato il consolidamento del vantaggio del No al 37,8%, con una lievissima flessione dello 0,2% di cui non ha beneficiato il Sì fermo al 34,7%; quanto all’astensione sarebbe sempre attestata sul 40%.

Così mentre la data fisiologica del voto, già posticipata dal governo il più possibile, si avvicina inesorabilmente e le condizioni complessive risultano quanto mai incerte per tutti, ma altamente imponderabili, scivolose e non favorevoli per chi ha voluto puntare tutto su una crociata lontana dai “toni pacati” e al “giudizio sul merito” auspicati last minute con una certa ipocrisia anche da Napolitano, ecco farsi strada la proposta indecente del voto “in tempi migliori”.

Naturalmente un Renzi indignato è intervenuto solo per smentire recisamente  mettendo all’indice “il dibattito surreale” che si alza ogni settimana per oscurare le ragioni del merito che farebbero piazza pulita dei conservatori del No, già stigmatizzati da una piazza del Popolo semivuota come il vero “partito della nazione” che vuole tenere l’Italia al palo. Per ora ad esporsi sono stati Angelino Alfano, gli inossidabili Cicchitto e Sacconi, un ex popolare di cui si erano perse le tracce come Pierluigi Castagnetti, mentre gli esponenti di “primo piano” si mantengono molto prudentemente nel fronte tracciato ufficialmente da Renzi, della “folle idea” senza paternità.

E’ chiaro che l’operazione “slittamento” risulta altamente improponibile e impraticabile nonostante le grandi manovre in corso, l’attivismo dietro le quinte di grandi salvatori della patria più o meno emeriti, le sirene di un super-nazareno-bis che allettano un Berlusconi quanto mai nostalgico di quel rendez-vous indimenticabile.

Chiunque abbia una minima nozione dei principi che regolano i rapporti tra i poteri dello Stato sa che l’unico motivo legittimo di rinvio della data del referendum potrebbe eventualmente derivare, ma i pareri di molti costituzionalisti sono di segno contrario, dall’accoglimento del ricorso di Valerio Onida per incostituzionalità del decreto referendario all’origine del quesito unico e promozionale per il Sì.

E comunque la decisione attesa in settimana se mandare gli atti alla Consulta che, come in molti confermano “fa tremare i palazzi della politica”, spetta esclusivamente al giudice della prima sezione civile del tribunale di Milano Loreta Dorigo.

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