di Elisabetta Balduini*

“Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio…” , così esordisce l’ultima versione dell’art. 81 della Costituzione. Ciò che non è dato capire è perché il prezzo della parità di bilancio debba comportare, con una sistematicità allarmante, il puntuale sacrificio dei diritti previdenziali e assistenziali dei pensionati.

Il legislatore, in barba al principio dell’uguaglianza della giustizia, è infatti più volte intervenuto sospendendo o riducendo la misura della rivalutazione dei trattamenti pensionistici.

Nel 2011 il governo Monti “in considerazione della contingente situazione finanziaria” (e chi non si ricorda delle lacrime della ministra Fornero?) è andato oltre prevedendo, per le pensioni superiori a tre volte il minimo Inps (circa € 1.400,00 lorde), il blocco totale della perequazione per il 2012 e il 2013 (art. 24, comma 25, D.L. 201/11).

Tutto sarebbe passato inosservato se diversi pensionati, ritenendo illegittima la norma, non avessero proposto decine di ricorsi con richiesta alla perequazione integrale della pensione, percepita per gli anni 2012 e 2013, previa rimessione degli atti dei giudizi alla Corte Costituzionale per l’esame della questione di legittimità costituzionale della norma, che appunto prevedeva il blocco totale delle loro pensioni.

Il Giudice delle Leggi (sent. n. 70/2015) ha – come si ricorderà – dichiarato l’incostituzionalità della norma per violazione dei “limiti di ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento stesso e con ‘irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività’ (sent. n. 349 del 195)”.

A partire da quel momento l’Inps avrebbe perciò dovuto applicare la normativa previgente e corrispondere a tutti i pensionati interessati le somme non percepite per effetto della norma dichiarata incostituzionale.

Senonché, a pochi giorni di distanza dalla pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale, il Governo Renzi è intervenuto con il D.L. 65/2015 e, fingendo di voler dare attuazione ai principi della Consulta, ha previsto un rimborso parziale modulato a scaglioni (cd. bonus Poletti), con esclusione delle pensioni di importo superiore a sei volte il trattamento minimo complessivo Inps (circa € 3.000,00 lorde) e ha limitato l’operatività della rivalutazione per i due bienni successivi.

Tutti i pensionati interessati dalla normativa, di fatto uguale a quella dichiarata incostituzionale, hanno subito una perdita secca definitiva superiore al 50%. I giudici di merito, nuovamente investiti della questione, hanno riconosciuto elementi di incostituzionalità nel provvedimento adottato dal governo Monti, come modificato dal d.l. 65/15, convertito nella legge 109/15. La questione è quindi ancora al vaglio della Corte Costituzionale.

Quello che occorre mettere in rilievo è che intanto la sentenza 70/2015 della Corte Costituzionale vale nei confronti di tutti i pensionati, purché gli stessi si attivino per tempo a far valere il loro diritto.

Quindi cosa deve fare in concreto il pensionato per non vedersi preclusa la possibilità di ottenere i propri arretrati in riferimento al biennio 2012-2013 con ricalcolo del trattamento pensionistico per gli anni successivi? Deve inviare una raccomandata con ricevuta di ritorno alla direzione provinciale dell’Inps territorialmente competente entro il 31 dicembre 2016.

Va anche ricordato che l’Inps, sulla base dell’art. 38, comma 1 lettera d del d.l. 98/2011 convertito in legge 111/11, ritiene che le azioni giudiziarie aventi a oggetto controversie in materia di trattamenti pensionistici, siano soggette a decadenza triennale. La decadenza, a differenza della prescrizione, può essere evitata solo dalla proposizione di un’azione giudiziaria. I giudici, per vero, hanno finora respinto questa eccezione quando sollevata anche se, e va segnalato, sul punto non esistono sentenze della Corte di Cassazione.

In conclusione qualora l’Inps dopo l’invio della raccomandata non provveda all’erogazione delle somme dovute e al ricalcolo dei trattamenti pensionistici come stabilito dalla Corte Costituzionale si dovrà agire in giudizio. Naturale che, per evitare qualsiasi eccezione, il consiglio è quello di procedere il prima possibile.

* Avvocato del Lavoro in Milano

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