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Eutanasia, l’atleta paralimpica Marieke Vervoort: “Non è ancora arrivato il momento di morire”

L'atleta paralimpica ha precisato la notizia riportata dai media del Belgio secondo cui al termine dei Giochi di Rio avrebbe posto fine alla sua vita con il suicidio assistito. Ai giornalisti che le hanno chiesto una conferma, la medaglia d'argento nei 400 metri T52 ha risposto parlando di "un errore della stampa belga" e che al momento "è totalmente fuori questione"
Eutanasia, l’atleta paralimpica Marieke Vervoort: “Non è ancora arrivato il momento di morire”
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“Non è ancora il momento per l’eutanasia“. L’atleta paralimpica belga Marieke Vervoort ha così precisato la notizia riportata nei giorni scorsi dalla stampa del suo Paese, secondo cui al termine delle Paralimpiadi di Rio avrebbe posto fine alla sua vita con il suicidio assistito. Ai giornalisti che le hanno chiesto una conferma sulla sua volontà di porre fine alla sua vita dopo i Giochi Paralimpici, la Vervoot ha risposto parlando di “un errore della stampa belga” e che al momento è “totalmente fuori questione” un proposito di questo tipo.

La triatleta, medaglia d’oro a Londra 2012, prima della sua gara paralimpica brasiliana secondo i media del Belgio aveva annunciato: “Dopo Rio, mi uccido”. La 37enne, medaglia d’argento sabato scorso nei 400 metri T52, lotta contro una malattia degenerativa da quando aveva 15 anni. Una patologia che l’ha costretta a vivere su una sedia a rotelle e a convivere con atroci dolori. L’eutanasia è legale in Belgio, ma serve l’approvazione scritta da parte di 3 medici. Vervoort ha spiegato di avere sottoscritto nel 2008 tutti i documenti necessari per poter procedere all’atto terminale, ma solo nel caso in cui la sofferenza provocata dalla sua malattia diventasse “insopportabile”. “Ma quel momento non è ancora arrivato – ha precisato – Sono più impegnata con il buddismo e lo zen”. “Mi sto ancora godendo ogni piccolo momento della mia vita”, ha sottolineato la Vervoort in una conferenza all’Aquatic Center, nel corso della quale ha anche esortato altri Paesi a seguire l’esempio del Belgio: “Spero che altri paesi, come il Brasile, affrontino il tema dell’eutanasia. Quando una persona firma quelle carte non significa che debba morire due settimane dopo. Io ho firmato nel 2008 e guardatemi ora, ho vinto una medaglia d’argento”.

L’atleta belga ha poi parlato della sua condizione di vita: “Ho una malattia progressiva e ogni anno è peggio. Anni fa potevo godere dell’arte. Ora è impossibile, vedo solo il 20%. Mi domando quale sia la prossima rinuncia. Sono veramente preoccupata – ha ammesso – Ora mi sento bene, ma può darsi che fra mezz’ora starò soffrendo. Ma ora la mia paura della morte non c’è più. Con la morte assistita vai a dormire e non ti svegli più. Sembra una cosa pacifica. Non voglio soffrire quando morirò”. La sua voglia di vivere però supera ancora quella di morire: “I soldi non significano nulla per me, ma io sono una persona ricca. Voglio che la gente si ricordi di me come una signora che sa anche ridere. E che quando soffre – ha concluso – guarda ancora alle cose positive”. 

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