Usciti dal silenzio assoluto dei sensi. È successo a otto pazienti che sono passati da una condizione di paralisi completa diagnosticata anni e anni fa a una di paralisi parziale, in cui è possibile fare alcuni movimenti volontari dei muscoli, avvertire stimoli dolorosi o sensazioni tattili. A questi risultati è stato possibile arrivare grazie a una riabilitazione hi-tech utilizzando lettori di pensiero che traducono le onde cerebrali in azioni (le cosiddette interfacce uomo-macchina), tecnologie della realtà virtuale come avatar, arti robotici, indumenti ultratecnologici che trasmettono ai loro corpi stimoli esterni.

Il risultato clinico senza precedenti si deve a una ricerca condotta da un pioniere nel settore delle protesi robotiche e delle interfacce, Miguel Nicolelis della Duke University di Durham (Carolina del Nord). In pratica questi pazienti, come si legge sula rivista Scientific Reports edita da Nature, sono usciti dal silenzio assoluto dei sensi in cui erano stati condannati da incidenti gravi di vario tipo: il loro sistema nervoso (cervello e nervi periferici) è stato in un certo senso riprogrammato dalla riabilitazione ultratecnologica e i pochi nervi rimasti intatti dopo il trauma sono riusciti a risvegliarsi e riorganizzarsi, consentendo il ripristino parziale di funzioni motorie e tattili. “Finora nessuno aveva mai assistito al recupero di queste funzioni in pazienti, così tanti anni dopo la diagnosi di paralisi completa”, sottolinea Nicolelis.

Il ricercatore è partito anni fa dallo sviluppo delle interfaccia uomo-macchina, ovvero sistemi in grado di captare le onde cerebrali su cui viaggiano pensieri e intenzioni di un individuo (ad esempio l’intenzione di muoversi) e di tradurle in un comando per il computer o per un braccio robotico o per una protesi che aiuti a camminare. In pratica si tratta di macchine in grado di leggere nel pensiero e tradurre quel pensiero in una azione reale. (Foto di archivio)

Sfruttando queste tecnologie, Nicolelis e colleghi hanno iniziato col chiedere ai pazienti di concentrarsi ed immaginare di muovere le proprie gambe, raccogliendo i segnali neurali emessi dal loro cervello durante gli esercizi di immaginazione. Gli scienziati hanno usato i “pensieri” dei pazienti per animare avatar che mettessero virtualmente in atto i movimenti da loro immaginati.
I pazienti vestivano anche indumenti speciali con sensori e altre tecnologie in grado di inviare un feedback al paziente stesso. In questa maniera pian piano hanno potuto ricominciare ad avvertire delle sensazioni tattili e a ricollegare il proprio corpo col mondo esterno. A esempio, hanno potuto ‘camminare’ sulla sabbia o sull’asfalto avvertendo la differente sensazione prodotta dai due tipi di terreno tramite il proprio avatar.

Laddove prima vi era il “silenzio” completo dei sensi, spiega Nicolelis, i pazienti hanno ricominciato a sentire; probabilmente grazie a nervi spinali rimasti sani e riprogrammati con questo training hi-tech.
E non è tutto. Grazie a gambe robotiche e a questo allenamento di ‘pensiero’ e uso di realtà virtuale, i pazienti sono riusciti a muovere volontariamente alcuni muscoli e camminare. Hanno riguadagnato almeno in parte il controllo della vescica, insomma hanno riconquistato tutta una serie di funzioni neurologiche che erano ormai perse per sempre dato il loro grado di paralisi.
La sperimentazione, che potrebbe giovare anche ad altre malattie neurologiche, come il Parkinson, va avanti: gli esperti stanno registrando altri miglioramenti e hanno intenzione di pubblicare altri dati nel prossimo futuro.

Lo studio su Nature

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