L’Italia malata di corruzione campa su un singolare paradosso: insieme a quello del malaffare, detiene anche il record dei “controllori”. Sparsi per lo Stivale ci sono ben 153mila revisori legali e 17mila controllori dei conti degli enti locali, tutti abilitati al ruolo in appositi registri detenuti dal ministero dell’Economia e da quello della Giustizia. Questo non piccolo esercito di commercialisti, avvocati e notai vigila per legge sul rispetto delle procedure e la corretta redazione del bilancio di esercizio delle società pubbliche, ma entra in azione anche nelle srl e nelle società per azioni, dove il controllo può essere attribuito al collegio sindacale solo a condizione che al suo interno ci sia almeno un revisore legale abilitato. Insomma, i controllori sono dappertutto e possono pretendere ogni atto amministrativo e contabile della società che controllano, fino all’ultima fattura. Potrebbero dunque essere l’antidoto naturale a scandali e sprechi prima che si si muova la magistratura o la Corte dei Conti, ma lo fanno davvero?

Partiamo da un dato. Nel 2015 su 153.816 revisori legali solo sette sono stati cancellati a seguito di condanne o interdizioni dall’apposito registro professionale presso il Ministero dell’Economia e Finanze. Uno ogni 21.428 iscritti, lo 0,0046% del totale. Un numero infinitamente piccolo rispetto agli scandali e alle inchieste degli ultimi anni, dal Mose all’Atac, passando per Expo e Mafia Capitale. Dov’erano i controllori? È evidente che le guardie non rincorrono i ladri e a volte si adoperano per coprire anziché scoprire le loro malefatte. Tanto nessuno li controlla, quasi mai qualcuno li punisce.

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