Da domenica mattina, cioè da quando sono arrivate da Orlando le prime notizie della strage del Pulse, il locale gay dove sono state uccise 50 persone, alcuni media e molti, troppi commentatori sui social tentano disperatamente di trovare un legame tra l’attentatore e l’Isis. Da Trump fino all’ultimo degli adinolfiani, è tutto una spasmodica ricerca di collegamenti, rivendicazioni, analisi da due lire sull’evidente (almeno per loro) legame tra la strage e il terrorismo di matrice islamica.

In realtà non sappiamo se Omar Mateen fosse davvero legato all’Isis o ad altri gruppi fondamentalisti. Può darsi, per carità, ma non lo sappiamo.

E allora perché già si traggono conclusioni così affrettate? Semplice, sin troppo semplice: le vittime dell’attentato sono gay e si trovavano in un locale per gay. Un musulmano che uccide decine di omosessuali manda in tilt le semplici equazioni di una certa opinione pubblica di destra, mette in crisi le granitiche certezze di chi ragiona per compartimenti stagni. Ammettere che la matrice sia  omofobica prima ancora che terroristica, come è evidente, vorrebbe dire ammettere che l’omofobia uccide, che di omofobia si muore, e che quindi una legge contro l’omofobia forse non è così inutile come ci è stato raccontato fino a ieri, persino in Occidente, persino in Italia.

Il corto circuito innescato dalla strage di Orlando è molto più grave di quanto si possa credere, perché pur dietro parole di condanna e di solidarietà, si cela malamente una lunga serie di distinguo, di classifiche pelose di motivazioni in ordine di convenienza (prima diciamo che era musulmano, e quindi probabilmente affiliato all’Isis, poi tutto il resto). È il solito meccanismo pavloviano di chi è abituato a seminare odio, a incasellare le vicende di questo mondo balordo in moduli di indignazione prestampati che non mettano in discussione i discorsetti da talk show, le contrapposizioni muscolari, le genuflessioni di fronte a questa o quella religione.

Il dibattito politico, in Italia come negli Stati Uniti, sta banalizzando una tragedia immane e avvelena gli animi di chi non ce la fa più a piangere decine di morti causate solo dall’orientamento sessuale. Perché di omofobia stiamo parlando, checché ne dicano gli opinion leader di destra, i “minimizzatori” di professione, i benaltristi che chiedono addirittura che il prossimo Gay Pride rifletta “sull’islamismo radicale”, creando collegamenti astrusi privi di senso. Come se nei Pride in giro per il mondo non si faccia altro che inneggiare ad al-Baghdadi o alla teocrazia iraniana. Sono le misere beghe di cortile che inquinano un dibattito che deve essere più ampio, più alto.

Rispondere all’odio omofobo alimentando l’odio islamofobo: è questa la risposta? È questa la ricetta che proponete per uscire dalla spirale di violenza e di intolleranza?

La comunità Lgbt, che da troppo tempo viene isolata, emarginata, derisa e strumentalizzata (nonostante le fandonie sulla fantomatica lobby che tutto può), deve chiamarsi fuori da queste bassezze ideologiche. Deve pretendere che venga ammessa la matrice omofoba della strage di Orlando e dopo, solo dopo, preoccuparsi della fede religiosa dell’assassino. Perché è vero che non possiamo e non vogliamo paragonare una strage ai discorsi omofobi di tanti esponenti politici e religiosi non certo musulmani, ma non possiamo e non vogliamo sottovalutare la loro ricaduta sociale e culturale.

Leggere la solidarietà alla comunità Lgbt da parte di Mario Adinolfi, che solo poche settimane fa chiedeva di imbracciare i fucili dopo l’approvazione della legge sulle unioni civili, offende terribilmente la dignità di chi si trova incredibilmente a dover lottare per affermare il proprio diritto di esistere. Non è più tempo di preghiere, solidarietà pelosa, strumentalizzazioni. Vogliamo i fatti, anche in Italia. Vogliamo una legge contro l’omofobia che difenda milioni di persone dall’ignoranza, dall’intolleranza, dall’odio e soprattutto da chi questo odio lo semina. Politici, fenomeni da baraccone alla ricerca di visibilità, leoni da tastiera, giornalistucoli intrisi di ideologie: tutti complici del clima avvelenato che circonda la comunità Lgbt. Una comunità assediata che deve mettere fine anche alle divisioni interne, a cominciare dalle assurde polemiche sull’utilità o meno del Gay Pride. I cinquanta morti di Orlando sono la risposta: i Pride servono eccome, anche in Occidente, perché la battaglia per l’uguaglianza non è affatto vinta. E non è necessario piangere i morti di Orlando per capirlo. Basta fare un giro sui social network o, peggio ancora, nei palazzi della politica. Anche in Italia.

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