Il “Transatlantic Trade and Investment Partnership” (Ttip) è un trattato di libero scambio tra Europa e Stati Uniti d’America per condurre ad una maggiore liberalizzazione nell’interscambio tra le due superpotenze economiche occidentali.

Questo nuovo accordo, tuttora in fase di trattativa, non sarebbe però solo di tipo commerciale, come apparirebbe dalle (poche) notizie e commenti che lo riguardano, ma coinvolgerebbe, probabilmente in modo pesante, anche il campo finanziario. Infatti già la lettura completa del titolo dato all’ipotetico accordo consente di individuare al suo interno anche la parola “Investment”, cioè investimenti, che spalancherebbe la porta (ancor più di quanto lo sono già), oltre che alle corazzate finanziarie americane (banche e grandi conglomerate) anche alle miriadi di “truppe cammellate” dei medi e piccoli speculatori a stelle e strisce (hedge funds, venture capitalists, ecc.) che smaniano dalla voglia di allargare il loro “giro d’affari” anche alla “grassa” Europa, dove le occasioni di guadagno, favorite dalla crisi e dalla contemporanea “necessita’” di privatizzare consente a chi dispone di grandi quantità di denaro a bassissimo costo occasioni di arricchimento assolutamente imperdibili per gli speculatori.

Tra l’altro questo “lato oscuro” della faccenda, come giustamente fanno notare quasi ovunque all’estero (Usa inclusi), nasconde un problema molto grave di possibile violazione dei diritti di democrazia dei popoli che entrassero in questo accordo. Il Ttip infatti include al suo interno anche l’Isds – Investor State Dispute Settlement (Regolazione delle dispute tra Stati e Investitori) dove un particolare tribunale speciale (composto da giudici privati, non soggetti alla giurisdizione dello Stato in esame) può, anzi “deve”, decidere valutando la disputa non nel merito degli interessi del popolo interessato ma solo per verificare se, nel caso in questione, la libertà d’investimento dovesse venire “sacrificata” ad interessi diversi da quelli del “libero mercato”.

La Francia, che ha già fiutato il rischio di una simile normativa, ha già impiantato un bel paletto in difesa della sua industria di audiovisivi dicendo in anticipo che essa sarebbe comunque esclusa da questa norma.

E l’Italia? Ha messo qualche paletto? Non mi risulta! Il nostro sagace premier al momento ha problemi più importanti da risolvere e lascia quindi il nostro territorio completamente aperto a qualsiasi scorribanda speculativa.

Personalmente ho già scritto la mia contrarietà al Ttip fin dai primi incontri-trattativa del 2013 (Rinascita 15-07-2013 con: “Ttip, la nuova Globalizzazione”), e ancora su questo blog. Non mi dilungherò perciò, per questioni di spazio, a ripetere qui i numerosi elementi negativi e i rischi insiti nel Ttip che però, stranamente, vede favorevoli tutti i numeri uno degli Stati interessati all’accordo stesso.

E’ favorevole Obama, che non perde occasione per sollecitarne la conclusione. Sono favorevoli Hollande, la Merkel e, naturalmente, anche il nostro “gasatissimo” premier che darebbe un braccio pur di mettere anche la sua firma su un accordo che finalmente “rottama” l’obsoleto sistema decisionale democratico in favore del più moderno e rapido sistema capitalista che consentirà sicuramente agli investitori la veloce conclusione di ottimi affari anche in presenza dei soliti fastidiosi “contenziosi” aperti  dai soliti “rappresentanti del popolo” e dalle “organizzazioni dei lavoratori”.

Dovesse andare in porto la trattativa queste “beghe classiste” verranno risolte rapidissimamente grazie all’Isds (vedi sopra).

Fortunatamente non tutti i popoli sono “cloroformizzati” come quello italiano da cinque lustri di politica politicante che le prova tutte, ma proprio tutte e con elevato grado di successo, per partorire finalmente un sistema di governo dove chi governa potrà finalmente farlo senza l’impiccio di dover rispondere a qualcuno estraneo al suo controllo.

Sia in Francia che in Germania, ma persino negli Usa sono infatti molto forti le manifestazioni contrarie al Ttip, senza contare che esso sarebbe solo l’ultimo, in ordine di tempo, a imporre gli interessi del business sopra a quelli dei popoli. L’accordo del Tpp “Trans Pacific Partnership, per esempio, è già stato concluso dagli Usa e firmato da Obama, ma il Congresso Usa non lo ha ancora ratificato, e difficilmente lo farà, perlomeno quest’anno. Perché?

Probabilmente perché negli Usa la rappresentanza democratica, benché spesso mortificata anche là da una politica e una legislazione che porta alle urne meno della metà degli aventi diritto, riesce ancora ad esprimere un sistema che vede l’elettore come potere decisionale ultimo, e quindi per il politico con un peso ancora importante, anche se non sempre determinante, per scegliere chi rappresenta meglio i propri interessi.

Proprio qui sta il punto critico del perché i numeri uno sono favorevoli e i numeri “nessuno” invece non lo sono. Perché i numeri uno, ormai indistintamente tra “destra” e “sinistra”, fanno gli interessi dei grandi capitali mentre il popolo non è più in realtà rappresentato da nessuno.

Laddove l’informazione funziona ancora decentemente il popolo se n’è accorto e interviene direttamente a fermare questo vulnus nel cuore del sistema democratico, laddove invece l’informazione è passata interamente sotto il controllo del sistema ultra-capitalista il rischio di una completa metastasi del sistema democratico diventa altamente probabile.

Dove si trova l’Italia? Nella zona alta di rischio o in quella bassa?

L’Italia avrebbe bisogno di sostenere la propria piccola e media impresa per difendere la qualità e il gusto dei nostri prodotti. Ma deve combattere contro un sistema capitalista che invece, dopo averci impoveriti con le proprie scorrerie finanziarie, ci invaderà, tramite i vari Ttip ecc., coi propri prodotti a basso prezzo, e noi, nella grande maggioranza, dovremo scegliere proprio quelli, perché saranno gli unici alla portata del nostro portafoglio.

Per fortuna quel “transatlantico” di nome Ttip, grazie ad una vigilanza democratica più attiva di quella a cui assistiamo oggi in Italia, naviga ora in cattive acque e ci lascia dunque la speranza che non venga mai concluso.

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