La morte di Regeni e l’invasione dell’Iraq. Può sembrare un paradosso ma questo era il titolo del quotidiano egiziano Al-Ahram di pochi giorni fa. Mi soffermerò sulle reazioni alla morte di Giulio, ma prima di tutto credo che valga la pena dare conto del contenuto dell’articolo di cui sopra, che non abbiamo difficoltà a definire filo governativo. Si parte dall’anniversario dell’invasione dell’Iraq e del supporto dell’Italia -si cita Berlusconi- a tutta l’operazione. Forse al giornalista sembrava fin troppo azzardato l’accostamento tra Regeni e Saddam Hussein, e quindi cercava di precisare che non voleva trovare un legame di causa-effetto tra i due personaggi, né tanto meno sostenere la logica del “occhio per occhio”, ma non gli sembrava neppure inopportuno parlare dei “reati occidentali” che hanno provocato la distruzione delle nazioni. Ma se non è questo qual è il nesso?

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Le corrette informazioni. Come la guerra in Iraq fu determinata da cattive informazioni e disinformazioni sul possesso da parte di Saddam di armi di distruzione di massa, e su questo possiamo convenire, anche sul caso Regeni, l’Italia “non vuole cercare alternative, basandosi su giornali e fughe di notizie, come è successo per la guerra in Iraq”. Leggendo queste fandonie viene spontaneo gridare: “Verità per Giulio” e unire la nostra voce a quella del governo, del presidente Mattarella e delle tante istituzioni internazionali che chiedono all’Egitto la verità sulla morte di Regeni. L’Europa ha lasciato soli i paesi arabi che nel 2011 hanno messo in movimento il processo rivoluzionario contro i dittatori, guardando con occhi distratti e attoniti i processi reazionari che si sono gradualmente instaurati. Ora ci troviamo nella possibilità, grazie alla morte orrenda di un giovane, di sostenere l’azione della “Commissione Egiziana per i Diritti e le Libertà” che si batte contro le sparizioni dei giovani egiziani inghiottiti nei meandri delle prigioni della polizia, dei servizi segreti o dell’esercito.

Al 31 marzo questa associazione aveva contato 544 sparizioni forzate, tra queste anche di minorenni. Gli ostaggi sono spesso esponenti liberali, socialisti o simpatizzanti dei Fratelli Musulmani arrestati sulla base di confessioni estorte ai prigionieri. Il tutto illegalmente, anche sulla base della legge antiterrorista egiziana che non autorizza la detenzione aldilà di tre giorni senza un avvocato. Bisogna continuare a battersi per avere la verità per Giulio, non solo perché lo dobbiamo a lui e alla sua famiglia ma anche perché in questo modo l’Europa potrà aiutare quelle madri egiziane che all’interno di sindacati autonomi portano avanti una lotta di resistenza contro il regime per conoscere la sorte dei propri figli e parenti. Bisogna fare massima attenzione a questi micro fenomeni di opposizione che si registrano anche in altri settori, i medici ad esempio, gli insegnanti e più in generale nella società che vive sulla propria pelle la mancanza di libertà. Ormai la rete delle famiglie egiziane che hanno un parente disperso hanno deciso di accentuare la loro pressione sulle autorità.

Una manifestazione si è tenuta dinanzi all’ambasciata francese, in occasione della visita di questa settimana del presidente Hollande, per sollecitare le autorità a trattare la questione dei diritti umani. Anche l’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha condannato l’Egitto per le repressioni ai sindacati indipendenti e più in generale alle associazioni dei lavoratori e ha chiesto verità per Giulio Regeni. Non siamo ancora allo slogan che circolava sui social network, siamo tutti Giulio Regeni, così come avvenne nella manifestazione che significò l’inizio della rivolta, al Cairo il 25 gennaio del 2011, quando le masse gridavano siamo tutti Khaled Said, il giovane pestato dalla polizia e fatto trovare morto per strada. Le contraddizioni in cui si dibatte il regime sono evidenti e probabilmente in esse, nello scontro in atto tra i diversi poteri, esercito, polizia, ministero degli interni, si trova la soluzione del caso Regeni. Non bisogna mollare, è necessario passare ai fatti perché questo lo dobbiamo a Giulio e agli egiziani che lottano senza il clamore mediatico.

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