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Rai, Campo Dall’Orto chiude all’emotainment. E il servizio pubblico può solo guadagnarci

Rai, Campo Dall’Orto chiude all’emotainment. E il servizio pubblico può solo guadagnarci
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Domenica 6 marzo, aprendo Repubblica gli italiani hanno appreso della esistenza dell’emotainment, e cioè dei programmi che, con fare tra il partecipe e il cinico, giocherellano con le relazioni sentimentali e le emozioni. Quei programmi, cioè, che trafficano in maniera più esplicita con il cuore o, forse meglio, con la pancia degli spettatori. L’equivalente, nel Palinsesto, del populismo in Parlamento.

A buttare lì quella parola composta (derivante da “emotional” e “entertainment”) è stato (in una intervista rilasciata a Annalisa Cuzzocrea) nientepopodimeno che il direttore della Rai, che per esemplificare ha nominato Ti lascio una canzone, Il Dono, Così lontani così vicini e ha chiarito senza ombra di equivoco, a leggerlo nero su bianco, che di quella roba lì la Rai non ne vuole più sapere.

La notizia non è da poco perché quel tipo di programmazione ha connotato profondamente il profilo della Rai 1 allestita dai direttori della Rai che hanno preceduto gli attuali. Non che l’abbiano inventato, ma di certo l’hanno importato, pagando anche dei bei soldi per la licenza di imitare quei format (di proprietà di varie compagnie estere) e che in Italia, e non solo per le versioni Rai, hanno assunto vari nomi: Stranamore, Perdonami, Carramba, Brutto Anatroccolo, C’è Posta per te, etc etc. Un ampio Kamasutra di agnizioni e di esplosioni emozionali.

Potrebbe colpire la presenza, nella compagnia dei titoli emozionali esemplificati da Campo Dall’orto, di Ti lascio una canzone, dove in effetti non ci si commuove nel ritrovarsi perché si vedono i piccini che cantano (siamo semmai agli eredi dello Zecchino D’oro). Ma non c’è dubbio che il mettere in campo i pupi costituisca nel campo del varietà l’equivalente del “vincere facile” che viene perseguito riaffratellando, tanto per citare un frequente caso di emotainment, il padre reprobo e la figlia abbandonata. E in effetti l’auditel ci racconta che, in tutti e tre i titoli citati per la dismissione dalla Rai, la composizione dell’ascolto è assai simile: due terzi femminile e largamente anziana, due terzi al Sud e un terzo altrove, con le licenze elementari tre volte più partecipi rispetto agli altri titoli di studio.

Il punto allora è: dismettendo l’emotainment, Rai 1 perderà spettatori? La risposta è no, per la semplice ragione che quelle platee un tempo assai numerose, hanno mantenuto negli anni le proporzioni di sesso, istruzione e territorio che abbiamo ricordato, ma le loro dimensioni sono andate rapidamente restringendosi: la prima edizione di Ti lascio una Canzone sfiorò il 40% di share, l’ultima si è fermata al 17%; Il dono e Così lontani, così vicini sono rimasti schiacciati al 10%. Insomma, l’apartheid sociologico ha smesso di pagare e oggi conviene industriarsi a creare una più larga platea che comprenda quel tipo di spettatori piuttosto che concentrarsi esclusivamente su di loro.

Dunque in questo caso la Rai non uccide alcunché, ma semmai gli dà sepoltura. Ovviamente sperando, giacché una tv a basso contenuto emozionale non avrebbe vita lunga, che si accinga a sperimentare formule meno sempliciotte di far vivere l’emozione in televisione. Al grido di: In alto i cuori! Anziché in basso.

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