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A gennaio, dopo settimane di spot in tv, al cinema, sulla stampa e sul web, Eni ha lanciato sul mercato il suo nuovo (bio?) diesel. Con un incalzante battage pubblicitario, “il cane a sei zampe” ha annunciato che vecchie raffinerie a combustibili fossili verranno convertite in bio-raffinerie di nuova generazione e produrranno, tra le altre cose, anche un nuovo diesel con il 15% di “componente rinnovabile” (oli vegetali).

Ovviamente sarebbe per tutti un grande sollievo avere la certezza che una compagnia energetica di questa portata ha deciso di mettere la tecnologia al servizio dell’ambiente. Non possiamo però evitare di porci delle domande: con quale materia prima verranno alimentate queste bio-raffinerie? E quali sono le componenti rinnovabili del nuovo diesel? In base a quali criteri Eni afferma che questo prodotto “contribuisce a ridurre le emissioni di CO2 in media del 5%”?

Volendo capirne di più, abbiamo chiesto maggiori informazioni ad ENI, senza però ricevere risposta. Quello che ci preoccupa è che Eni afferma che la materia prima da cui deriva la componente “rinnovabile” di questo biodiesel è l’olio di palma.

Come ampiamente risaputo, l’olio di palma è utilizzato per diverse finalità, anche non alimentari, tra cui la produzione di biocombustibile. Rispetto all’uso alimentare o cosmetico, la produzione di biocombustibili necessita di quantitativi molto maggiori di questa materia prima, con conseguenze potenzialmente ancor più devastanti per l’ambiente.

Le monocolture di oleaginose destinate alla produzione di biodiesel possono sostituire, direttamente o indirettamente, habitat forestali, torbiere e altri ecosistemi ricchi di carbonio, comportando un ulteriore aumento delle emissioni di gas serra prodotte dalla degradazione di estese aree verdi. Inoltre, la produzione di biocarburanti può coinvolgere terreni già destinati all’uso agricolo, trasferendo altrove la produzione di alimenti, affinché si possa continuare a soddisfare la domanda di cibo. Questo fenomeno è conosciuto come “cambio indiretto dell’uso del suolo” e finora non è stato adeguatamente preso in considerazione nel calcolo delle emissioni di CO2.

La corsa dell’Europa ai biocombustibili, per raggiungere il target della Direttiva Europea sulle Rinnovabili (Dir. 2009/28/CE), potrebbe provocare notevoli danni ambientali sia per la deforestazione correlata alla produzione di olio di palma, sia per gli effetti negativi sulle emissioni di CO2. Infatti, a livello internazionale si è acceso un forte dibattito sulla sostenibilità della produzione di alcuni tipi di biocarburanti che, inducendo al cambio diretto e indiretto d’uso del suolo, minacciano biodiversità, sicurezza alimentare e accesso alla terra delle popolazioni indigene. E, nel bilancio della propria produzione, rimangono emettitori netti di CO2.

In Italia, negli ultimi 10 anni, si è registrato un aumento significativo delle importazioni di olio di palma ed Eni è tra le aziende che stanno aumentando la produzione di biodiesel da questa coltura oleaginosa.

Lo spot di Eni dice che “fare innovazione per l’ambiente significa saper vedere” e noi chiediamo a Eni: avete aperto gli occhi sull’olio di palma?

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