Non ci sono più le stagioni di una volta e i ricci vanno in tilt e si dimenticano di andare in letargo. L’effetto dei primi mesi caldi di questo inverno lo sentono soprattutto questi piccoli mammiferi, che con il sole e i gradi fino a pochi giorni fa molto al di sopra dello zero, pensano di essere già direttamente in primavera. Lo dicono con certezza dal Centro di recupero animali selvatici Matildico di Caverzana di San Polo d’Enza, nel reggiano, dove l’inverno “caldo” ha mandato in confusione gli esemplari della zona, che ora sono ricoverati nella struttura, accuditi dai volontari che badano a loro affinché riescano a sopravvivere alla stagione e alle sue anomalie.

Sì, perché a ottobre, dopo aver preparato la tana, i ricci solitamente cadono in un “sonno profondo” da cui si destano ogni due settimane per mangiare, per poi risvegliarsi definitivamente verso marzo, quando sentono che il sole ricomincia a intiepidire l’aria. Ma le temperature molto più alte della media in questi ultimi mesi li hanno scombussolati, facendo credere loro che sia già arrivata la bella stagione, e quindi il momento di ritornare attivi. Risultato? I simpatici animaletti spinosi non si sono addormentati affatto, e hanno continuato a vagare in cerca di cibo, senza però ovviamente trovarlo. Con il rischio che il 70 per cento di essi non arrivi a vedere l’estate.

Una vera e propria emergenza che si ripete già da alcuni anni, a cui cercano di far fronte i centri di recupero animali selvatici come il Matildico. “Gli animali sono quelli che risentono maggiormente di questi cambiamenti climatici – spiega Cristina Canuti, del centro di San Polo – I ricci in questo periodo sono disorientati, spesso si ritrovano a camminare per le strade durante il giorno, ma questo è segnale che qualcosa non va, perché sono animali notturni e solitamente non si dovrebbero incontrare in quelle ore”. Attualmente il centro ha in cura una sessantina di ricci in “letargo assistito”, con i volontari che li nutrono e li tengono sotto osservazione. Tra loro anche molti cuccioli, che con il loro peso esiguo sono i più delicati e non sopravvivrebbero in natura perché incapaci di trovare cibo. “In questi giorni più freddi, alcuni si sono addormentati – continua Canuti – poi li lasceremo liberi quando sarà passato l’inverno e dopo una fase di rieducazione per abituarli a essere indipendenti, a procurarsi da mangiare e a difendersi”.

Solo nel 2015 erano stati 280 i ricci ritornati allo stato selvatico dopo le cure nella struttura, e quest’anno i numeri sono già molto alti per essere solo gennaio. Ma l’emergenza non riguarda solo loro. Anche i ghiri sono ancora svegli, gli uccelli non sono migrati e perfino i parassiti come zecche e pulci, che con le temperature rigide si estinguono per tornare con la primavera, assediano ancora gli animali, aggravando la situazione già critica data dalla malnutrizione e dal cambio di ritmi. Per questo l’appello dei volontari è di rivolgersi ai centri specializzati in caso ci si imbatta in un animale selvatico in difficoltà. “Non tutti sanno come curarli – conclude Canuti – e spesso, volendo aiutare, si fa ancora peggio. Ma è importante seguire le procedure e chiedere aiuto agli esperti. Solo così si può davvero dare una mano”.

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