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IL DENTISTA: "IL GIUDICE HA RICONOSCIUTO CHE ERO UN FINTO-COLLABORATORE, MA NON POSSO ESSERE ASSUNTO" - 6/6

Paghe da operai, contratti a intermittenza e nessuna tutela. Così, la generazione più ricca di titoli della storia d’Italia cammina sul bordo dell’abisso. Il governo promette i primi interventi ma molti hanno gettato la spugna, rifuggono dagli albi e da esistenze precarie. Ecco le loro storie
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IL DENTISTA: “IL GIUDICE HA RICONOSCIUTO CHE ERO UN FINTO-COLLABORATORE, MA NON POSSO ESSERE ASSUNTO”

“Tutti noi siamo rimasti lì non per una questione economica. Volevamo crescere e fare crescere l’azienda ospedaliera. Ma non avevamo alcun tipo di prospettiva di carriera, ci poteva condurre a un burn out professionale”. Marco Cargnel, 41 anni, è un dentista. Per nove anni, dal 2004 al 2013, ha lavorato come libero professionista all’ospedale San Paolo di Milano. Poi ha deciso di andarsene e di fare causa all’azienda. “Le nostre attività non sono mai state libere, erano in tutto e per tutto assimilabili a una subordinazione – spiega il dentista – Venivano stabiliti calendari di ferie, dovevamo sottostare alla turnazione, dovevamo trovare chi ci sostituiva quando eravamo malati”. E oltre al danno della collaborazione mascherata, la beffa del taglio di retribuzione. “Ci siamo visti decurtare negli anni il compenso orario iniziale – aggiunge Marco – Siamo passati da 35 a 22 euro lordi l’ora. E questo nonostante avessimo responsabilità su altre figure operanti nella stessa sede”.

Farò ricorso in appello ma non lavoro più con il pubblico, ora faccio il libero professionista. Stavolta per davvero

E’ il fenomeno delle finte collaborazioni, delle false partite Iva, una piaga che il Jobs act ha cercato di arginare, definendo maggiormente i paletti del lavoro subordinato e prevedendo una sanatoria per le imprese che mettano in regola i lavoratori. Ma i risultati sono ancora tutti da verificare. Intanto, a chi si è trovato in questa situazione, come Marco, non restava che andare davanti al giudice: “Data la mancanza di prospettive, le clausole vessatorie, la decurtazione dello stipendio, in sette colleghi ci siamo rivolti al tribunale del lavoro per fare riconoscere i nostri diritti”. Eppure, la sentenza di primo grado ha rigettato il ricorso dei dentisti. I ricorrenti, spiega il documento, hanno chiesto il riconoscimento “della subordinazione con diritto all’inquadramento dirigenziale e conseguente corresponsione delle differenze retributive e degli istituti previsti dal contratto nazionale”. La richiesta è stata respinta, insistendo sul punto che le pubbliche amministrazioni possono reclutare personale solo attraverso concorso. Insomma, anche se il lavoro ricalca tutte le condizioni tipiche della subordinazione, nel pubblico impiego una persona non può vedersi stabilizzata. “Faremo ricorso in appello – aggiunge Marco – Ma intanto ho trovato un altro impiego. Ora lavoro presso studi privati, svolgo attività di libero professionista. Stavolta per davvero”.

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