Ogni angolo – riparato dal vento e dalla pioggia – può essere buono. Computer, bloc notes, cellulare e, per tanti, telecamera, appoggiati sotto una tettoia o in un bar, possibilmente a portata di portafogli, concentrati a scrivere per un giornale o un sito web. Giornalisti di mestiere, precari di fatto, questo è il quotidiano del 65% della categoria, quell’esercito di migliaia di freelance con un reddito medio inferiore ai 10mila euro lordi all’anno. Privati dalle norme contrattuali di una scrivania in redazione, i cronisti non contrattualizzati devono in sostanza arrangiarsi come possono. Scroccando l’accesso alle agenzie di stampa, si pagano la connessione ad internet, ritagliandosi uno spazio dove poter lavorare. Quando infuriava la polemica sull’accordo per il cosiddetto “equo compenso” per i giornalisti precari – ovvero il decreto concordato tra il Dipartimento per l’editoria, la Fnsi e le associazioni degli editori, poi bocciato dal Tar perché incostituzionale – fu il sottosegretario Luca Lotti ad annunciare la soluzione magica: una sala stampa per i freelance, con wi-fi, scrivania e luce elettrica. Tutto gratuito, per il “rispetto della dignità di un mestiere decisivo per la democrazia di un Paese”. Un vero spazio di lavoro, un tavolo dove appoggiare il computer, la parvenza di un lavoro degno, la possibilità di scambiare le opinioni con i colleghi.

Precari e collaboratori che lavorate nella capitale, segnatevi un indirizzo: piazza Augusto Imperatore 32, nel cuore di Roma, a due passi da via del Corso, dietro l’antica sede storica del Psi craxiano. La “Sala stampa italiana” è qui. La gestisce la semisconosciuta associazione “Gruppo romano corrispondenti”, costituita davanti al notaio nel 2010. Nulla a che vedere con i freelance, anzi. Sono gli eredi di una figura del secolo scorso, i corrispondenti inviati a Roma dai principali quotidiani, oggi in buona parte sostituiti dai giornalisti non contrattualizzati. Il 24 giugno del 2014 hanno firmato un accordo con i sottosegretari Luca Lotti, per l’editoria, e Antonello Giacomelli, per il ministero dello sviluppo economico. In sostanza il governo ha concesso in uso gratuito un piano di un edificio pubblico – circa 600 metri quadrati – per l’associazione, a patto di riservare uno spazio anche ai freelance.

Tutto bene, dunque? Peccato che nessuno abbia mai reso pubblico indirizzo e modalità di accesso. Anzi. La convenzione prevedeva la redazione di un regolamento (“ancora non lo abbiamo”, spiega un membro del gruppo romano corrispondenti che chiede di non essere citato per nome), la realizzazione di un sito internet con orari, telefono e modalità di accesso (“non abbiamo soldi, il sito lo stiamo facendo, ma ci vorrà tempo”) e l’invio al dipartimento per l’editoria di un report trimestrale sulle presenze dei freelance e delle testate (“no, non lo abbiamo mai inviato”). L’esistenza della sala, in altre parole, è un segreto per pochi: nessuna indicazione sui siti dei sindacati di categoria, nessun telefono, nessun indirizzo. Nulla. “E’ una questione di sicurezza – spiegano i pochi giornalisti dell’associazione nella sede di piazza Augusto Imperatore – perché potrebbe presentarsi anche qualche mitomane. Io però l’ho fatto sapere ai Cdr (i rappresentanti sindacali all’interno dei giornali, nda) e mi sembra di ricordare che ne ho parlato anche con il sindacato”. Per poi aggiungere: “I freelance sono tanti, la verità e che non ci sarebbe mai spazio per tutti e quindi è meglio non divulgare troppo la notizia”. Insomma, la sala stampa c’è, ma è decisamente all’italiana.

Per capire qualcosa di più basta però andare nella sede della “Sala stampa italiana”. Gran parte delle scrivanie sono vuote. “In quella sala ci sono ora tre freelance”, assicurano. Un certo movimento in realtà c’è, ma poco ha che fare con i giornalisti precari. Buona parte del piano è occupato dalla redazione romana del gruppo Quotidiano Nazionale, che edita, tra l’altro, la Nazione di Firenze. “Usano 11 scrivanie su una cinquantina disponibili”, spiega il socio del gruppo dei corrispondenti. “Fanno parte anche loro dell’associazione, pagano la quota, che è di 100 euro a scrivania”. Insomma, per poco più di 1000 euro al mese si riesce ad avere una redazione nel cuore di Roma, se hai l’indirizzo giusto. Tutto compreso. C’è poi una testata online, con un nome decisamente azzeccato: salastampaitaliana.it . “Noi però non abbiamo nulla a che vedere con la convenzione, siamo una piccola società editoriale, paghiamo la nostra quota per avere una scrivania fissa qui”. Offrono un servizio di agenzia video ai freelance, a pagamento (244 euro annui) e si stanno occupando della realizzazione del famoso sito previsto dalla convenzione. Tempi? “Ci stiamo lavorando”. Ma di freelance, in pieno orario di lavoro, se ne vedono decisamente pochini.

A piazza Augusto Imperatore può anche capitare di avere più funzionari del ministero dello Sviluppo economico che giornalisti precari. La convenzione ne prevede quattro, completamente a carico del contribuente. Il compito è di tenere la sede aperta, aprire e chiudere la porta e poco altro. “Quando stavamo a San Silvestro – racconta l’ex corrispondente, ormai in pensione – in realtà avevamo molto più spazio, 1200 metri quadrati, e non dovevamo pagarci la luce. Anche allora ospitavamo i freelance, ovviamente, con le stesse regole di oggi”. Quella convenzione del 2014, annunciata in pompa magna da Luca Lotti quando infuriava la protesta dei giornalisti precari per l’accordo dichiarato incostituzionale dal Tar, di magico aveva ben poco. Se davvero i freelance dovessero arrivare in piazza Augusto Imperatore 32 quel piccolo spazio se lo dovrebbero contendere duramente.

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