“Non mangio roast beef, / è l’anagramma di sbirro!” (Tanta roba, 2009). Versi tratti da un motivo dei Club Dogo, un terzetto di cantanti hip hop milanesi che hanno ben oltrepassato i trenta; roast beef non è l’esatto anagramma di sbirro, ma pronunciato all’italiana (rosbif) ne riproduce quasi esattamente l’inversione sillabica: (r)rosbi. “Ti do questa notizia in conclusione: / notizia è l’anagramma del mio nome” (Indietro, 2008). Questo era Tiziano Ferro, è stavolta il gioco di scomposizione e ricomposizione è perfetto.

Nel 2007 è morto il caratterista bergamasco Guido Nicheli, “cummenda” in un film diretto da Carlo Vanzina (Sapore di mare, 1983); giunto al successo nella serie tv in cui indossava i panni di un commerciante d’insaccati (I ragazzi della III C), veniva da un passato da comico nei locali notturni milanesi: era soprannominato Dogui, perché si divertiva a rovesciare le parole. In una scena di un altro film di Vanzina (Il ras del quartiere, 1983) il protagonista, Diego Abatantuono (Domingo), così dialoga con Mauro Di Francesco (Jena), altro caratterista milanese:

J: Te devi presentarti col nogra, eh. Te devi guizzare il nogra. Tocapi? […] È un modo tosto per esprimersi.
D: Cioè al contrario, praticamente.
J: Eh, yes.
J: Treno diventa notre. Casa, saca. Cinque, quinci. È un modo di parlare senza farsi capire, eh. È un gorge, un gergo.
D: Cioè un specie di slang.
J: Yes.
D: Cioè, interessante come schema. Se tu volessi dire babbo dici bobolo.
J: Eh no, no; no no. Solo le parole determinate per mescolar le carte.
D: Carte, terca.
J: Vobra.
D: Allora bambino si dice nobambi.
J: Yes.
D: Bambina?.
J: Nabambi. E sfiga?.
D: Gasfi.
J: Of course. Vedi che quando vuoi capisci.
D: Eh per forza, quando voglio capisco. Of course, di corsa. Per esempio per dirti non ho i soldi da darti allora devo dire io non ho i dilso da dirta.
J: CS, ci sei […]. Hai acchiappato il linguaggio.

È lo spirito del verlan – inversione della pronuncia semplificata di l’envers –, documentato in origine come verlen. Conosciuto almeno dagli anni Trenta del Novecento, come gergo criminale, si affaccia in un romanzo di Auguste Le Breton, il padre del poliziesco di “mala” (Du Rififi chez les hommes, 1953); la voce calibre (‘revolver’) diventa qui brelica, che lo scrittore bretone, in Langue verte et noirs desseins (1960), dice molto diffusa ai tempi dell’occupazione tedesca durante il secondo conflitto mondiale. Fra i tanti precedenti Torgotlar (1850) per l’Argoteur, come nomignolo; Lontou (1842) per Toulon, a indicare la prigione; Louis XV (quinze) diventato Sequinzouil (1760 ca.); Bonbour (1585) per Bourbon, la famiglia reale. Anche Voltaire trasse il suo pseudonimo da Arouet L(e) J(eune) – in scrittura capitale quell’Arouet diventava AROVET – o da Airvault, la cittadina di cui era originaria la sua famiglia. Il pensiero corre al nostro Trilussa, pseudonimo di (Carlo Alberto) Salustri, e a François Rabelais: usa lo pseudonimo di Alcofribas Nasier nel primo (Pantagruel, 1532) dei cinque romanzi del suo ciclo; è Séraphin Calobarsy, la versione originaria del personaggio di maistre Theodore, nella prima edizione del secondo (Gargantua, 1534).

Tutto il mondo (giovanile) è paese

Il verlan continua a mantenersi vivo anche grazie ai nuovi ingressi, alla “riverlanizzazione” di qualche parola, all’apporto di una varietà di francese giovanile parlata nelle banlieue parigine (non solo dai figli di immigrati): mescola voci di origine araba o zigana e interviene sull’intonazione del francese, modulandola su sonorità rap. I giovani italiani e i loro cugini transalpini non sono però i soli a ricorrere a palindromi, anagrammi e fenomeni analoghi, che, pur non sempre legati al fattore età, sono quasi “universali” generazionali. A non tener conto dei reperti antichissimi, e dei riscontri offerti da altre moderne nazioni o aree geografiche (il Camerun, il Sud-est asiatico, le isole caraibiche di San Blas, ecc.), in Gran Bretagna c’è il back slang; in Irlanda (e ancora in terra inglese) lo shelta, parlato dal popolo nomade degli Irish Travellers; in Grecia il podanà (ποδανά, da ανάποδα ‘sottosopra’); in Sudamerica il vesre, inversione dello sp. revés.

Gotan Project è il nome di una band, formatasi nel 1999, composta da uno svizzero, un francese, un argentino. Mette insieme il tango e la musica elettronica; e quel gotan sta ovviamente per tango. È appunto un esempio di vesre e rinvia, più esattamente, a quell’ibrida mescolanza di lingue (inglese, francese, gallego, portoghese, quechua, ecc.) di base lessicale italiana, soprattutto genovese, parlata principalmente nella regione di Buenos Aires e qui nota dalla seconda metà del XIX secolo. Risponde al nome di lunfardo, o più familiarmente lunfa, e fa incetta di altri anagrammi più o meno perfetti: chochamu per muchacho (‘giovane’); colo per loco; davi per vida; zabeca per cabeza.

Una ludica galassia linguistica tutta da esplorare.

di Massimo Arcangeli e Sandro Mariani

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