Oggi i medici italiani scioperano. Per loro scioperare non è una consuetudine semmai è una rarità un po’ per la delicatezza della protesta sociale un po per la tradizionale natura accomodante e moderata di questa professione. Se oggi i medici scioperano vuol dire che non ne potevano più e che con la politica è rottura aperta o che il governo Renzi ha deciso di pagare un prezzo.

Il Bmj (British medical journal) ha passato in rassegna i dati di diversi scioperi medici negli ultimi 40 anni in diversi Paesi. Il tasso di mortalità rimane invariato. Anzi, in alcuni casi, si registrano persino miglioramenti (sciopero degli specializzandi in Spagna) ma in altri specialmente se lo sciopero include anche i servizi di emergenza, la probabilità di morte può salire fino al 67% (2010 in Sud Africa). Ma non è certamente il caso italiano.

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Lo sciopero dei medici è una contraddizione, un ossimoro nel senso che esso è la manifestazione paradossale di un conflitto tra il diritto dei medici di protestare e scioperare come qualsiasi altro pubblico dipendente e il loro dovere di cura nei confronti dei malati. Questa contraddizione in genere è rimossa seguendo la raccomandazione del General Medical Council (Regno unito) che dice che i medici “non devono danneggiare i pazienti o metterli a rischio”) per cui durante lo sciopero si devono garantire comunque le prestazioni di emergenza ma non solo.

In genere, come è il caso di oggi, gli scioperi comportano la cancellazione diffusa di operazioni di visite e di trattamenti “non urgenti” per cui essi causano comunque una interruzione dei servizi. Ma il concetto di “non urgenza” in medicina è una questione molto controversa. Per un malato che soffre che sta male che sta facendo un trattamento terapeutico, tutto è relativamente urgente anche se non vi è rischio di vita imminente. Fino ad ora nessuno studio ha esplorato l’effetto dello sciopero dei medici sulle condizioni reali dei malati. Questo aspetto etico e morale accentua in modo pesante la responsabilità della politica, nel nostro caso del governo, che per questo genere di categorie dovrebbe prevenire il conflitto assicurando le necessarie interlocuzioni. Il governo Renzi, nei confronti dei medici sta facendo da tempo orecchio da mercante. Il 28 novembre a Roma si è svolta una manifestazione unitaria quindi con tutti i sindacati del settore sotto l’egida della Fnomceo (Federazione nazionale degli ordini) alla quale non è seguito nessun riscontro politico. Questo vuole dire che il governo ha messo in conto questo sciopero e probabilmente non ha alcuna intenzione di modificare le sue politiche sanitarie, le stesse politiche che sono alla base di quella che ho definito “questione medica” e che spiegano i medici in rivolta. Di che si tratta?

I medici da parecchi anni sono nel bel mezzo di una mutazione professionale in peggio vale a dire che il loro status, il loro ruolo ma alla fine anche la loro funzione, per svariate ragioni, stanno cambiando. E’ di fatto un professione in via di ridimensionamento perché:

– altre professioni erodono la loro leadership
– le aziende sanitarie nei fatti annullano la loro autonomia di giudizio e di scelta
– limiti economici imposti al sistema sono forti limiti alle loro azioni
– la loro formazione è macroscopicamente difforme rispetto alle necessità del tempo
– i malati li portano continuamente in tribunale
– i medici sono manifestamente inadeguati nei confronti del cambiamento sociale (basti vedere i loro codici deontologici)
– ormai i medici per difendersi dai rischi legali adottano comportamenti opportunistici (medicina difensiva) creando assurdi costi inutili.

Insomma “questione medica” significa un groviglio di problemi che si sono affacciati negli ultimi decenni e che alla fine ci fanno correre il rischio di avere in luogo di un “medico” un “non medico”, cioè un medico senza quelle caratteristiche di capacità, abilità, sensibilità, libertà senza le quali nessun malato può ritenersi ben curato.

Oggi il governo Renzi sembra del tutto impassibile, inerte,indifferente nei confronti di questo sciopero. Colpisce infatti l’assenza più totale di una sua qualsiasi iniziativa politica, cioè il niente di niente. E’ questo il dato politico più preoccupante. Ormai è chiaro che il suo intento non è affrontare la “questione medica” per risolverla in avanti cioè sviluppando una figura di medico più adeguata al nostro tempo e più responsabile, ma è quello di avere un medico che per contenere la spesa sanitaria funzioni come una lavatrice, cioè un medico che in barba alle necessità reali legate alla singolarità di ogni malato, sia eterodiretto da standard, linee guida, protocolli, algoritmi. Cioè che funzioni come un computer a basso costo. Con il governo Renzi, cioè con i provvedimenti adottati recentemente sulla questione “appropriatezza” siamo alla “medicina amministrata” per la quale un medico che ragioni come si diceva una volta in “scienza e coscienza” è di fatto un ostacolo. Ma questo sciopero è proprio per difendere e ricontestualizzare il principio di “scienza e coscienza”. Dentro questo groviglio di problemi vi sono naturalmente contratti bloccati da anni, organici ormai ridotti al lumicino, condizioni di lavoro sempre più esauste, precariato dilagante, sottooccupazione e sfruttamento.

Tutto questo ci fa capire che questo sciopero non è stato deciso alla leggera. Ai medici, come le sberle, questo governo lo ha tirato letteralmente fuori dalle loro mani. I medici vi assicuro ne avrebbero fatto volentieri a meno. Ma questo carica il governo e il suo ministro della Salute di una responsabilità politica senza precedenti. La sua indifferenza fa spavento.

La “questione medica” non è una questione corporativa, non è un problema di una categoria, ma una questione sociale e politica di primaria grandezza che riguarda tutti noi e le nostre reali possibilità di cura. Per questo ho scritto un ebook, La questione medica, che è scaricabile gratuitamente sul Quotidianosanità.it.

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