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Che significato ha per le periferie cattoliche italiane l’anno giubilare straordinario che è iniziato ieri a Roma? Tutto dipende, oltreché da quel che succede al centro, da quel che deciderà il papa, dal modo in cui le stesse periferie e in particolare le diocesi e le parrocchie, tradurranno nelle loro realtà quotidiane l’impulso giubilare che Francesco ha trasmesso a tutta la Chiesa. Da questo punto di vista, l’anno giubilare potrebbe sicuramente essere una gigantesca opportunità perduta. Sarebbe così se le periferie attivassero anche in questa occasione gli schemi tradizionali, quelli di sempre, che vedevano nel Giubileo un’occasione per incentivare le confessioni e organizzare trionfali manifestazioni pubbliche, pellegrinaggi, viaggi a Roma, happening di massa. Di un anno vissuto in questo modo non resterebbe nulla o quasi nell’esperienza e nella memoria dei fedeli e soprattutto non si invertirebbe di certo la tendenza storica in atto da tempo che rende sempre più marginali il ruolo della confessione auricolare e la nozione di peccato individuale.

Chi frequenta la Chiesa sa infatti benissimo che i confessionali sono spesso deserti, che le persone, soprattutto quelle più giovani, si confessano molto di meno di un tempo e che spesso, anche quando lo fanno, cercano di più un conforto spirituale complessivo, un confronto e un dialogo sugli aspetti più dolorosi della propria esistenza che un’assoluzione che risolve ben poco.

Quanti sono nel 2015 i fedeli che si riferiscono alle loro cattive azioni in termini di “peccati”, cioè di azioni intenzionali e consapevoli, e non piuttosto di “problemi”, spesso di natura inconscia e non dipendenti dalla volontà di chi ha compiuto l’azione malvagia? Ho l’impressione, confermatami dalle rivelazioni di tanti confessori incontrati in questi anni, che su questo delicato terreno una certa vulgata psicologica abbia dilagato e che, in tanti racconti pubblici e privati, il complesso di Edipo si sia ampiamente sostituito al peccato originale. E non basta.

La crisi della confessione è anche una conseguenza diretta dell’individualizzazione della fede e della crisi della Chiesa come struttura di mediazione riconosciuta tra Dio e gli uomini. Molti credenti non capiscono perché debbano ottenere da un uomo che essi giudicano pari a loro, cioè dal prete, il perdono per le loro colpe, perché non possano, come invece fanno regolarmente nel foro interiore della loro coscienza, riferirsi direttamente a Dio, senza passare per la Chiesa e il clero. È uno dei tanti segnali dell’incipiente protestantizzazione del cattolicesimo. Un sintomo impossibile da cancellare in un anno giubilare pur con tutto l’impegno e la buona volontà.

Quel che invece alla Chiesa sarebbe possibile fare, in questo 2016 che si annuncia rovente su tanti fronti, è di sensibilizzare finalmente e in profondità i suoi fedeli ai grandi “peccati sociali” del nostro tempo. La Chiesa cattolica potrebbe cioè, gettando totalmente alle ortiche la sua tradizionale ossessione per i “valori non negoziabili”, insegnare, ai suoi fedeli, ma forse anche al resto della società che spesso l’ha dimenticato, che nella nostra vita sociale si annidano dei problemi strutturali, dei nodi critici, e che è un peccato grave non tentare di risolverli. Mi riferisco ovviamente alla povertà, all’esclusione sociale, alla sofferenza dei più deboli, ma anche agli eccessi del consumismo capitalista e dello sfruttamento indiscriminato delle risorse del pianeta.

Le chiese locali potrebbero, in modo non superficiale e occasionale (cioè non solo nei primi giorni del Giubileo) e seguendo l’enciclica Laudato si’, dare avvio a una grande opera di sensibilizzazione “misericordiosa” verso il cambiamento degli stili di vita e di consumo nelle zone più ricche del pianeta e la necessità di una solidarietà attiva e concreta verso le aree più sofferenti. Da un simile atteggiamento proverrebbe probabilmente una rivitalizzazione del ruolo di autorità morale della Chiesa, non più fondato sulla sfera della sessualità ma piuttosto su quelle della solidarietà, dell’impegno e della giustizia.

I presbiteri e i loro vescovi potrebbero cercare di far comprendere ai loro fedeli che sono peccati, questi sì davvero gravi e molto di più dell’aver posato lo sguardo sul seno di una collega o dell’aver detto una piccola bugia a un familiare, i gesti di razzismo verso gli immigrati o l’evasione fiscale e la corruzione. Sarebbe davvero una rivoluzione. Per un anno santo indimenticabile.

Il Fatto Quotidiano, 9 dicembre 2015

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