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JAMAL SAOUDI: 400 MORTI E I "SERVIZI" AL CARA DI MINEO - 3/6

Inchiesta di ilfattoquotidiano.it sui grandi trafficanti responsabili di sbarchi e naufragi. Fuad Abu Hamada è l'organizzatore di una traversata finita con 400 morti, ma il Cairo non risponde alla richiesta di arresto. Inafferrabile anche l'etiope Ermias Ghermay, ricercato dalla procura di Palermo per i 366 affogati a Lampedusa nel 2013. E così via. Senza collaborazione internazionale, gli sforzi investigativi del Gruppo contrasto all'immigrazione clandestina di Siracusa e di diverse procure non riescono ad andare al di là dell'arresto degli scafisti. Ma intanto emergono collegamenti fra trafficanti e jihadisti
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JAMAL SAOUDI: 400 MORTI E I “SERVIZI” AL CARA DI MINEO

Un altro signore delle stragi, secondo la Procura di Catania, è un eritreo conosciuto come Jamal Saoudi, che opera in Libia, con base in una fattoria di Zuwara, cittadina costiera a ovest di Tripoli. Nell’estate del 2014, ricostruiscono gli investigatori, almeno due viaggi organizzati da lui finiscono in tragedia: il 28 giugno scompare per sempre un barcone con 244 persone a bordo, per lo più eritrei. Il 30 luglio, un centinaio di chilometri a est di Tripoli, ad andare a picco è un natante carico di 150 persone, provenienti dall’Africa sub-sahariana. La “merce” – così Saoudi chiama i migranti nelle telefonate intercettate – non arriva a destinazione. Del primo naufragio si viene a sapere perché l’allarme per parenti e amici attesi e mai arrivati filtra dalla comunità eritrea di Milano, storicamente numerosa e organizzata. Ne scrive su Avvenire il giornalista Paolo Lambruschi, che dopo la pubblicazione dell’articolo riceve una telefonata dallo stesso Saoudi. “Gridava in arabo, in modo concitato. Ha minacciato me e gli attivisti eritrei che lo avevano tirato in ballo”, racconta Lambruschi a ilfattoquotidiano.it.

La ferocia degli scafisti: il caleidoscopio dell’orrore

Souadi risulta a capo di una grossa organizzazione che raccoglie migranti dal Sudan all’Eritrea, li convoglia in una grande fattoria di Zuwara e lì organizza gli imbarchi per la Sicilia. Il viaggio via terra è fatto di fatica, violenze, sequestri di persona. Quello via mare è una roulette russa. A ogni tratta corrisponde una tariffa che il boss s’incarica di incassare personalmente. Anche attraverso la hawala, un circuito “bancario” clandestino diffuso in Africa. Se no vanno bene anche Western Union, Moneygram o, in Italia, Postepay. Ogni singolo migrante frutta migliaia di dollari.

I “servizi” offerti da Jamal Saoudi toccano il Cara di Mineo, centro di prima accoglienza attorno al quale si concentrano gli appetiti più disparati, dal giro di Mafia Capitale a politici e amministratori politici siciliani – indagato, fra gli altri, il sottosegretario di governo Giuseppe Castiglione – fino appunto ai trafficanti di carne umana. Grazie a opportuni scambi di badge, attraverso i suoi uomini Saoudi “smistava i migranti a suo piacimento e ne organizzava i successivi spostamenti” verso Roma e Milano, scrivono i pm catanesi nelle carte dell’operazione Tokhla.

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