Boots on the ground. Barack Obama cambia strategia e dà l’assenso all’invio di una cinquantina di soldati delle forze speciali americane in Siria per “intensificare la lotta a Daesh (Stato Islamico, ndr) e gli sforzi diplomatici per mettere fine al conflitto”, come ha dichiarato il Segretario di Stato John Kerry. “Ѐ una situazione diversa – ha dichiarato il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest, rispondendo ai cronisti che hanno chiesto spiegazioni riguardo alla giravolta di Obama, solo due anni fa contrario all’invio di truppe – Lui disse di non essere pronto a inviare truppe di terra per far cadere Assad per non commettere lo stesso errore dell’amministrazione precedente con Saddam Hussein”.

Tutto mentre, a Vienna, i delegati di Russia, Stati Uniti, Unione Europea, Onu, Iran, monarchie del Golfo, Turchia, Egitto, Libano e Giordania si incontravano per la prima volta per dare il via ai negoziati sul conflitto siriano. “Un incontro difficile ma storico”, come lo ha definito l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Federica Mogherini, che per la prima volta mette tutte le anime interessate dalla guerra l’una di fronte all’altra. Con questo primo appuntamento, però, non si è trovato un accordo su uno dei punti principali: il futuro di Bashar al-Assad.

Dietrofront di Obama: 50 soldati in Siria e, forse, una task-force in Iraq
L’operazione annunciata dall’amministrazione americana prevede l’invio in territorio siriano di una cinquantina di soldati appartenenti alle forze speciali. La Casa Bianca specifica, però, che il ruolo dei militari sarà quello di dare appoggio alle forze già impegnate nella lotta a Isis e che, quindi, l’approccio degli Usa al conflitto in Siria non cambia, ma semplicemente si “intensifica”.

Secondo indiscrezioni raccolte dal Guardian, che cita fonti governative, all’annuncio dell’amministrazione andrebbe però sommato il confronto che sarebbe in corso tra il Pentagono e il primo ministro iracheno, Haider al-Abadi, per mettere in piedi una task force per combattere “leader e network” di Isis attraverso il confine siriano.

Obama non rispetta così la promessa fatta due anni fa, quando disse di non avere intenzione di inviare truppe statunitensi in Siria. A quel tempo, il Califfato ancora non esisteva e il primo nemico degli Stati Uniti era proprio il regime di Damasco. Il cambio di rotta di Obama ha come obiettivo quello di accelerare la lotta allo Stato Islamico e può anche essere visto come un modo per rispondere all’ascesa militare e politica nel Paese, negli ultimi mesi, di Russia e Iran.

Vienna, iniziati i colloqui. Ma posizioni distanti sul ruolo di Assad
L’incontro c’è stato e ne seguiranno altri. L’aver dato il via a dei negoziati che riuniscano allo stesso tavolo Stati Uniti, Russia, Turchia e entità regionali da sempre in conflitto come l’Iran e gli emirati del Golfo è certamente un passo avanti rispetto al passato. L’obiettivo è quello di arrivare il prima possibile a un accordo che porti a un processo di transizione che faccia ripartire il Paese. “L’Onu convochi il governo siriano e l’opposizione per avviare un processo politico che porti a una governance credibile e non settaria, seguito da una nuova Costituzione e da elezioni”, si legge nel documento finale. Questo però, insieme alla convinzione che è necessario trovare una soluzione politica e non militare al conflitto siriano, è l’unico punto d’incontro raggiunto al termine delle otto ore di colloqui a Vienna.

Il nodo fondamentale ma più complicato da sciogliere è quello riguardante il ruolo che sarà ricoperto dal presidente siriano, Bashar al-Assad, nel processo di transizione. “La transizione politica per noi deve portare a un’uscita di Assad. È un processo che inevitabilmente andrà in quella direzione”, ha spiegato il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, rispecchiando la posizione della coalizione occidentale. Ha poi aggiunto che “sui modi e i tempi di uscita del presidente siriano non è stata affatto raggiunta un’intesa”. La posizione di altri delegati è infatti ben distante dalle parole del capo della Farnesina. Russia e Iran in primis spingono affinché l’attuale presidente siriano prenda parte al processo di transizione, anche se il viceministro degli Esteri di Teheran, Hossein Amir Abdollahian, citato dai meda iraniani, avrebbe dichiarato che “l’Iran non insiste nel mantenere al potere Assad per sempre”.
È proprio su questo punto che le diverse fazioni dovranno trovare un accordo per imprimere un’accelerazione al processo di pace, magari già dal prossimo incontro, “tra 10-15 giorni”, quando a Vienna potrebbero arrivare anche i grandi assenti del 30 ottobre: i rappresentanti delle fazioni ribelli siriane e, soprattutto, Assad.

Twitter: @GianniRosini

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