Diventa un caso politico la vicenda dell’Armadio della vergogna numero due. Con un’interpellanza urgente diretta al ministro della Difesa, Roberta Pinotti, cinque parlamentari del Partito Democratico (Andrea De Maria, primo firmatario con i deputati Martina Nardi, Andrea Ferro, Raffaella Mariani e Mariella Tidei), sollecitano il ministro a dichiarare se è a conoscenza e se intende prendere provvedimenti. Il riferimento è ai risultati delle ricerche di una giovane storica, Isabella Insolvibile, secondo i quali solo 300 dei 695 faldoni scoperti nell’Armadio della vergogna, 24 anni fa, grazie al giornalista dell’Espresso Franco Giustolisi, sono stati oggetto di indagini e hanno avuto uno sbocco giudiziario (una storia già raccontata alcuni mesi fa da ilfattoquotidiano.it). “Invochiamo giustizia e memoria – ha dichiarato De Maria – nella consapevolezza che insieme rappresentano prima di tutto un dovere morale verso chi è caduto per la libertà di tutti gli italiani”.

Nell’interpellanza i deputati democratici scrivono che “particolarmente disattesi” sono i casi degli eccidi dei soldati italiani all’estero dopo l’8 settembre 1943 nelle isole greche, nei Balcani, nei campi di prigionia. “In particolare su 41 episodi (in 26 dei quali vi erano i nomi di alcuni dei presunti responsabili) solo per 18 si è tentato un qualche tipo di indagine che non ha dato esito”. Tra i casi esemplari è quello della strage di Cefalonia, l’isola dove i soldati della divisione Acqui, che si rifiutarono di arrendersi, vennero sterminati. “La documentazione – prosegue l’interpellanza – spettava, per competenza, alla procura militare di Roma”, in quell’epoca retta dal dottor Antonino Intelisano, attuale procuratore militare generale.

Circa 300 fascicoli contenuti in quell’armadio trovato rivolto al muro a Palazzo Cesi (sede della Procura generale militare) dettero vita a processi e sentenze: tra queste le condanne all’ergastolo di 57 ex militari nazisti. Le pene non furono mai scontate in carcere in ragione dell’età avanzata dei condannati. Là dentro si trovavano i nomi delle stragi di Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, San Polo, Bardine San Terenzo, la Certosa di Farneta e tante altre. Migliaia di civili innocenti trucidati per rappresaglia dalle SS e dalla Wehrmacht. Tutte inchieste condotte, fra il 2002 e il 2010, dalle procure militari della Spezia, di Verona e di Roma, rette in successione temporale da Marco De Paolis, tuttora procuratore militare a Roma. Nel 2013 per la strage di Cefalonia, De Paolis ha ottenuto la condanna all’ergastolo dell’ex caporale Alfred Stock. E ha riaperto le indagini per gli eccidi di Kos e Leros.

Si legge ancora nell’interpellanza al ministro Pinotti: “I procedimenti per i quali non è stata svolta alcuna attività di indagine (in tutto 22) sono stati archiviati entro il 1996 (ad eccezione di un fascicolo archiviato nel 1999). Gli altri 18 fascicoli, per i quali pure è stata svolta qualche forma di indagine, sono stati archiviati nel 1999; la procura della Repubblica militare di Roma chiese l’archiviazione dei 18 procedimenti in soli 11 giorni: per cinque l’8 ottobre 1999, per otto il 12 e per gli ultimi cinque il 19 ottobre. Il giudice per le indagini preliminari risponde con grande velocità. Archivia undici procedimenti il 5 novembre, sei il 9 novembre e solo per uno la decisione slitterà al 28 luglio del 2000”. Non in tutti i casi le richieste di archiviazione trovarono accoglienza. Nei casi più gravi il gip dell’epoca le respinse motivando che si trattava di reati imprescrittibili e sollecitò il procuratore militare Intelisano a svolgere ulteriori indagini. Tuttavia, alla fine, anche quei fascicoli furono archiviati.

Ma non ci sono solo i casi “esteri”. Ci sono anche stragi di civili massacrati dai nazifascisti nel Centro Italia durante il periodo dell’occupazione. Scrivono i parlamentari del Pd che incrociando “l’elenco fornito dalla procura e gli atti della commissione parlamentare che indagò sull’occultamento dei fascicoli si capisce facilmente come anche i fascicoli sui casi italiani abbiano subito la sorte dei molti di quelli esteri. Ricorrono, ad esempio, le stesse date. In data 18 aprile 1996 il gip di Roma archivia senza nessuna attività investigativa quattro casi esteri. Lo stesso giorno, verosimilmente a seguito di nessuna attività investigativa, vengono archiviate la strage di Calvi, in Umbria (dodici morti), di Tolfa, in provincia di Roma (quattro morti), dell’Aquila (nove morti). Il 5 novembre 1999, il giorno in cui il gip firma l’archiviazione di 11 casi esteri viene archiviato anche il fascicolo 536 relativo a fatti avvenuti a Capistrello (L’Aquila) e lo stesso giorno si procede all’archiviazione degli omicidi commessi a Tagliacozzo, sempre nell’Aquilano”.

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