Rischia di essere un autunno molto caldo per l’Europa che, a partita greca conclusa, potrebbe trovarsi ad affrontare una grana ancora peggiore per la stabilità politica e finanziaria dell’Eurozona: il trionfo degli indipendentisti alle elezioni catalane in programma domenica 27 settembre. Se l’esito delle elezioni anticipate in Grecia non preoccupava più di tanto i leader europei, perché tutti i maggiori partiti greci sono comunque a favore dell’accordo sottoscritto a luglio da Alexis Tsipras con i creditori, della consultazione catalana si è parlato e  si parla molto poco, forse per esorcizzarne le conseguenze o, più probabilmente, per mera sottovalutazione. L’apertura dei seggi però si avvicina e da Barcellona arrivano segnali inequivocabili: il leader indipendentista Artur Mas, al governo della Catalogna dal 2010 e già promotore del referendum non ufficiale sull’indipendenza che si è tenuto lo scorso novembre, vuole spingere l’asticella ancora più in là, fino alla rottura definitiva con Madrid.

In ogni dichiarazione, in ogni comizio, in ogni confronto televisivo, Mas e i suoi alleati proclamano che, se otterranno la maggioranza assoluta dei seggi, la Catalogna inizierà da subito a creare proprie strutture statali come un ministero delle Finanze, una banca centrale, un proprio sistema di sicurezza sociale e una rete diplomatica, con l’obiettivo di proclamare l’indipendenza entro 18 mesi. Una sfida che sta preoccupando molto Madrid e il premier conservatore Mariano Rajoy, ma che è stata presa decisamente sotto gamba dai leader europei, che hanno liquidato le aspirazioni catalane come velleitarie, affermando che una Catalogna indipendente si collocherebbe automaticamente fuori dall’Unione Europea.

Per Berlino, ma anche per Parigi e Londra, il discorso sarebbe chiuso qui. La realtà però rischia di essere molto diversa da quella che dipingono le cancellerie: in tutti i sondaggi, recenti e anche passati, la coalizione guidata dal presidente Mas è in testa nelle preferenze degli elettori, e con ampi margini, mentre venerdì 11 settembre un corteo di oltre un milione di persone ha percorso le strade di Barcellona inneggiando all’indipendenza in occasione della giornata nazionale catalana. Il supporto alla causa separatista è ampio come mai lo era stato in passato e potrebbe rivelarsi illusorio pensare che quello di Mas e alleati sia un gioco al rialzo volto a ottenere maggiore autonomia. La Catalogna – che è la regione più ricca di Spagna, con un Pil superiore a quello del Portogallo – non ha una fiscalità propria e versa nelle casse dello Stato 62 miliardi di euro per riceverne sotto forma di trasferimenti circa 45. Un divario inaccettabile secondo gli indipendentisti, che non paiono più disposti a cercare compromessi e sostengono – come del resto fanno diversi studi, anche autorevoli – che la secessione dalla Spagna, al netto dei contraccolpi iniziali, porterebbe molti più benefici che svantaggi all’economia catalana. In cui si concentrano molti settori strategici e dalla quale dipende oltre il 25% dell’export complessivo spagnolo.

In che misura tutto questo tocchi l’Eurozona è presto detto: se, come dicono Angela Merkel e David Cameron per scoraggiare i separatisti, una Catalogna indipendente non può restare nell’Unione Europea, una Spagna senza la forza economica della Catalogna sarà in grado di rimanere nell’euro? E’ proprio su questo punto che Mas e alleati contano di far leva per costringere l’Europa a farsi carico di un problema politico ed economico finora confinato al rango di una pittoresca lite di cortile tra Barcellona e Madrid. Già il fatto che l’appuntamento elettorale del 27 settembre sia stato trasformato in una sorta di referendum pro-indipendenza dovrebbe far riflettere: è il risultato dell’ostinata chiusura politica di Madrid. Se i catalani daranno a Mas la maggioranza assoluta e con essa dunque il mandato politico di dichiarare unilateralmente l’indipendenza, cosa accadrà in Spagna? E sui mercati? L’Europa non può più permettersi di fare lo struzzo, perché ne va della stessa sua sopravvivenza.

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