Prime settimane di scuola in tutta Italia e un po’ in tutte le Regioni si sentono gli effetti dei piani di dimensionamento delle istituzioni scolastiche e della ridefinizione della rete scolastica. Classi tagliate, scuole accorpate e per molti bambini che vivono in piccoli centri, il primo giorno di scuola è iniziato sullo scuolabus. E’ l’Italia che comincia a fare i conti con la bassa natalità.

Che la popolazione in Italia stia invecchiando non è una novità: i trend demografici sono chiari da anni. Un recente studio delle Nazioni Unite conferma che questo è un trend comune a molte economie avanzate e che il calo della natalità è un fenomeno globale e ben più rapido di quanto i demografi prevedessero fino a pochi anni fa. Secondo lo studio Onu entro il 2100 il numero globale di over 60 potrebbe triplicare: gli over 60 (oggi circa 900 milioni) potrebbero diventare 1.4 miliardi nel 2030, 2,1 miliardi nel 2050 e 3,2 miliardi nel 2100. Nello stesso periodo, gli over 80 potrebbero passare dagli attuali 125 milioni a quasi un miliardo.

Sembra ovvio che cambiamenti demografici su questa scala avranno presto un effetto molto tangibile a livello socio-economico. Per alcuni Paesi la questione è già piuttosto pressante: oggi si parla di impatto su pensioni, assistenza sanitaria, proiezioni per la crescita economica, livelli di produttività, mercato del lavoro, domani vedremo l’impatto concreto su infrastrutture, beni di consumo e servizi, che dovranno essere ripensati per rispondere a una clientela con aspettative e necessità diverse.

John Wilmoth, Direttore della Population Division delle Nazioni Unite, ci rassicura: “L’invecchiamento progressivo della popolazione mondiale è un segnale di successo: il risultato di bassa mortalità infantile e longevità come mai prima nella storia umana”. Sembra che la distribuzione e le caratteristiche della popolazione mondiale siano inevitabilmente destinate a cambiare drasticamente nei prossimi 50 anni. La popolazione di molti paesi europei potrebbe diminuire del 15% entro il 2050 e anche la rapida crescita demografica che vediamo oggi in Africa rallenterà notevolmente entro la metà del secolo.

Per ora, Niger, Uganda e Chad sono i Paesi più “giovani”. Giappone, Germania e Italia sono i Paesi più “vecchi”.

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In Giappone dove nel 2014 sono nati appena 8.4 bambini ogni 1000 abitanti, il fenomeno sembra talmente preoccupante da essere un fattore centrale nella politica economica del Primo Ministro Abe che ha anche istituito una task-force governativa interamente dedicata a studiare soluzioni di lungo periodo allo sbilanciamento demografico.

In Germania, i demografi si aspettano che la popolazione passerà dai 81milioni di oggi a 70 milioni nel 2050. E il problema non è solo nel saldo demografico ma nella sopratutto nella composizione demografica della popolazione: con i parametri attuali l’Onu stima che entro il 2050 il 39% delle popolazione sarà over 60 e appena il 13% avrà meno di 15 anni.

In Italia, come conferma l’Istat, il trend è simile. Calano le nascite da madri sia italiane che straniere – nel 2014 hanno avuto 1,31 figli le prime e 1,97 figli le seconde, quindi meno di quanti sarebbero necessari a garantire il ricambio generazionale. Ancora in aumento la speranza di vita alla nascita (80,2 anni per gli uomini e a 84,9 anni per le donne) e i flussi migratori in ingresso e in uscita sembrano andare verso la convergenza, con un saldo migratorio che nel 2014 era al livello minimo degli ultimi cinque anni.

E sulla base del bilancio demografico dell’Istat, Tuttoscuola un anno fa aveva già stimato che, per effetto del calo delle nascite, tra tre anni verranno a mancare al primo anno delle scuole primarie 49.309 alunni, con un decremento di circa il 9% (TuttoscuolaFOCUS N. 518/636, del 02/06/2014). Certo ci si aspetta che in parte il calo di alunni sarà contenuto dal minor numero di alunni per classe, ma inevitabilmente il calo determinerà comunque una diminuzione del numero delle classi. Secondo gli analisti di Tuttoscuola, a voler essere ottimisti e con i parametri attuali, l’impatto sull’intero percorso scolastico (quindi dal 2018 al 2030), potrebbe determinare la chiusura di oltre 23 mila classi. E chiusura delle classi significa anche riduzione dei posti di docente e personale Ata: secondo le stime, vedremo un taglio degli organici del 7%, con la soppressione di quasi 40 mila posti di docente (escludendo dal calcolo la scuola dell’infanzia e i posti di sostegno).

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Secondo John Wilmoth, però questi cambiamenti demografici stanno avvenendo in maniera graduale e i Paesi hanno ancora il tempo di adattarsi, riformando servizi e riallocando risorse e soprattutto cercando soluzioni di lungo periodo che garantiscano un tasso di natalità sostenibile. Non esiste una formula magica che funzioni per tutti, ma gli approcci possibili sono ovviamente legati al mantenimento di un saldo demografico adeguato alle aspettative di crescita e alle caratteristiche socio-economiche dei vari Paesi e che quindi tengono in considerazione nascite e morti, e flussi migratori in entrata e in uscita.

Le soluzioni sembrano quindi sempre essere un mix di sostegno ai genitori lavoratori e immigrazione.

Molti Paesi offrono servizi di sostegno all’infanzia, sgravi fiscali e promuovono generose politiche di congedo parentale. Si pensi alla Francia, che grazie a un pacchetto di politiche flessibili e progressiste a sostegno delle famiglie può vantare un tasso di natalità tra i più alti in Europa ma anche un tasso di occupazione femminile dell’ 85%.

Però incentivi e servizi a volte non bastano e allora sembra che l’incoraggiamento alla procreazione diventi piuttosto diretto. In Danimarca i potenziali genitori vengono incentivati a partire per week-end romantici e procreativi, in Russia il 12 Settembre è la Giornata del Concepimento, una festa nazionale. Le politiche governative Giapponesi a favore delle nascite vanno dalle pause lavorative “romantiche” durante la settimana agli incentivi economici, a Singapore il governo offre consigli sentimentali e un servizio stile Tinder per i giovani laureati. Per fortuna sembra che nessuno ancora sia stato ispirato dalle politiche vessatorie del dittatore Rumeno Ceausescu che negli anni ‘60, per far fronte a una crescita demografica a zero imponeva una tassa del 20% a tutti gli over 25 senza prole.

L’altra opzione, e quella che nel breve periodo sembra la più efficiente, è quella di attirare immigrati, economicamente produttivi e anagraficamente fertili. Ad esempio molti analisti pensano che le politiche in favore dell’immigrazione abbiano aiutato il Canada a riprendersi dalla crisi economica relativamente in fretta. Il nuovo sistema di visti veloci Express Entry, entrato in vigore a gennaio di quest’anno è stato sviluppato proprio per permettere al Canada di attrarre almeno 285mila emigrati nel solo 2015.

I tedeschi hanno creato una vera e propria campagna promozionale:Make it in Germany” è lo slogan di un’iniziativa governativa che incoraggia studenti, lavoratori, imprenditori, europei ed extraeuropei a costruirsi un futuro in Germania. Il governo tedesco non si limita a fornire informazioni, ma prende per mano il potenziale immigrato e lo aiuta ad orientarsi e a cercare lavoro o ottenere una borsa di studio, a iniziare un percorso di integrazione sociale e culturale prima ancora di fare le valigie. Ispira con le storie di chi ha avuto successo e rassicura suggerendo soluzioni personalizzate.

All’origine di tutti questi sforzi per attrarre talento ed energia dall’estero forse c’è un po’ di pragmatismo teutonico ma la parola che i tedeschi hanno coniato per descrivere questo approccio è Willkommenskultur, la cultura dell’accoglienza, e non suggerisce certo ricerca di manodopera a buon mercato, ma piuttosto la volontà di attrarre quelli che saranno i nuovi cittadini della Germania, i Tedeschi per scelta. Oggi, un terzo degli under15 in Germania sono figli di immigrati.  Difficile non riconoscere nel Willkommenskultur una politica efficace, e sopratutto lungimirante da un punto di vista politico, economico e morale.

Twitter: @Alicepilia

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