C’è Alessandra Moretti che dice di aver perso in Veneto per il sostegno dato a Renzi e per “un look da tranviere”. C’è Raffaella Paita, sconfitta in Liguria e che nega il saluto al ministro Andrea Orlando: “Eravamo amici, mi ha mollato”. C’è Sara Biagiotti, sindaco sfiduciato di Sesto Fiorentino che dice: “Ho vissuto la pagina più nera di Sesto dopo il fascismo”. Tre donne del Pd, tre storie, la stessa cocente delusione, lo stesso tentativo di scaricare altrove il proprio insuccesso. Proprio come avrebbero fatto i loro colleghi uomini, ma con in più il detto e non detto di aver pagato il prezzo del genere femminile in una politica dominata pur sempre da una visione maschile e maschilista dei rapporti di forza.

Eppure, per esempio, la Moretti meglio avrebbe fatto a riflettere sui troppi giri di valzer nel partito (Bersani, Letta, Renzi e domani chissà) che non hanno certo giovato alla sua immagine di forte coerenza e alla sua popolarità. E se è stata travolta dal leghista Zaia la colpa non può essere, siamo seri, per la sua rinuncia agli abiti e al trucco da ladylike.

Sui clamorosi errori della Paita, che hanno spianato la strada al forzista Toti, si potrebbe scrivere un saggio di autolesionismo elettorale mentre, a quanto si sa, in quel di Sesto Fiorentino si litiga sulla ciccia di un aeroporto e di un inceneritore, altro che fascismo.

Dalla presenza, ancora troppo limitata, delle donne in politica, dipende la crescita della democrazia. Lo scaricabarile lasciamolo ai maschi.

Il Fatto Quotidiano, 23 luglio 2015

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