È una sentenza storica quella di ieri della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America, che ha stabilito che vietare di sposare una persona dello stesso sesso è incostituzionale alla luce del XIV Emendamento della Costituzione federale.

Si tratta di una pronuncia dall’esito almeno parzialmente già annunciato. Da una parte, alcuni tra i giudici più liberali come Sotomayor e Ginsburg avevano già manifestato il loro favore per il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Dall’altra parte, l’aumento pressoché esponenziale del numero di Stati che permettono alle coppie gay e lesbiche di sposarsi (saliti rapidamente a 37 solo negli ultimi anni) aveva reso impossibile per la Corte ignorare la questione e, grazie alle schiaccianti vittorie giudiziarie conseguite da queste coppie, aveva azzerato gli argomenti contro il matrimonio same-sex.

I temi affrontati sono due: anzitutto, se il XIV Emendamento della Costituzione federale, che stabilisce l’equal protection before the law, dunque l’uguaglianza di fronte alla legge, imponga il matrimonio same-sex; in secondo luogo, se quello stesso principio di uguaglianza imponga altresì il riconoscimento, da parte di uno Stato che di per sé non riconosce o addirittura vieta i matrimoni same-sex, dei matrimonio celebrati in altri Stati.

Prima di dedicarsi alle due questioni, rispondendo affermativamente ad entrambe, la Corte traccia un percorso dell’istituto matrimoniale nella storia. Le sue origini antiche – scrive la Corte – dimostrano la sua centralità, una centralità “che però non può essere isolata dagli sviluppi del diritto e della società. La storia del matrimonio è continuità e cambiamento“. Così come è cambiato nell’ultimo mezzo secolo il trattamento riservato dalla società e dal diritto alle persone omosessuali.

Nel definire il matrimonio come unione tra uomo e donna la giurisprudenza Corte ne ha sempre messo in luce la dinamica di diritto fondamentale dell’individuo, quale mezzo essenziale per il perseguimento della felicità da parte di ciascuno. Ma esso rappresenta anche un istituto “inerente al concetto di autonomia individuale” che per definizione trascende dallo stato sociale di chi vi vuole accedere e permette il godimento di altre libertà “di espressione, intimità e spiritualità“. È uno strumento giuridico che, proprio in quanto costituisce “la chiave di volta dell’ordine sociale“, conferisce dignità sociale, una dignità dalla quale le coppie gay e lesbiche sono state ingiustamente escluse. La lista dei benefici che da esso conseguono è infinita e copre ogni aspetto della vita quotidiana: dalle tasse all’eredità, dalla proprietà all’accesso alle cure mediche, dall’adozione di minori all’etica professionale, dai benefici giuslavoristici agli aspetti assicurativi e previdenziali. Escludere le coppie dello stesso sesso da tutti questi vantaggi non ha alcun senso, anzi dannegga tali coppie.

Soprattutto

Molti di coloro che ritengono il matrimonio same-sex sbagliato raggiungono questa conclusione sulla base di premesse religiose o filosofiche accettate e rispettabili, e nessuna di tali convinzioni risulta qui screditata. Ma quando una siffatta opposizione sincera e personale si traduce in una legge e in politiche pubbliche, la necessaria conseguenza è imprimere il sigillo dello Stato su un’esclusione che diminuisce e stigmatizza le persone alle quali la propria libertà viene negata. Nella Costituzione le coppie same-sex cercano nel matrimonio il medesimo trattamento legale delle coppie di sesso opposto, e negare questo diritto screditerebbe le loro scelte e diminuirebbe la loro persona.

La sentenza si completa con una chiosa interessante. È vero, dice la Corte, che cambiamenti sostanziali come quello sancito ora dovrebbero spettare, nei meccanismi tipici della democrazia, al legislatore, dunque al Parlamento. Tuttavia, “gli individui non sono tenuti ad aspettare l’azione legislativa per vedersi riconosciuti i propri diritti fondamentali.” Le corti della Nazione sono aperte per ascoltare tutti coloro che, come nel caso di specie, risultano danneggiati dalla condotta dello Stato e lamentano una violazione personale dei propri diritti fondamentali. “I diritti fondamentali non dovrebbero essere messi al voto; essi non dipendono dall’esito delle elezioni.” Per questo alla loro affermazione possono contribuire i giudici, se il legislatore non si attiva.

Come da noi in Italia. Uguale, proprio. Dove i giudici hanno da anni rispettosamente declinato il loro ruolo di giudici dei diritti fondamentali al legislatore, che finora – guarda caso! – non ha fatto nulla. In America il matrimonio gay è ora legale in tutti gli Stati. La battaglia per l’uguaglianza è vinta. Da oggi quella americana è una società migliore, più inclusiva e che non discrimina sulla base dell’orientamento sessuale.

Aspettiamo anche noi di diventarlo.

GIUSTIZIALISTI

di Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita 12€ Acquista
Articolo Precedente

Matrimoni gay, sì della Corte Suprema Usa alle unioni omosessuali in ogni Stato

next
Articolo Successivo

Gay Pride 2015 di Londra, a chi serve?

next