E mentre in Italia impazza il melodramma su De Luca, gli impresentabili e il premier in tuta mimetica che minimizza e sprona i suoi a battaglie che saranno di certo trionfanti, nella totale assenza e disattenzione di Renzi, sul fronte europeo si moltiplicano le questioni aperte e si accumula lo svantaggio per il Belpaese.

Il redivivo direttorio Merkel-Hollande, anzi, diciamo la coppia Merkel-Hollande nella quale Hollande è un solerte comprimario, sta riacquistando facilmente una centralità che appare come una foglia di fico dell’Europa a trazione sempre più teutonica. Lo sanno bene i greci, che stanno, nella più totale solitudine, tentando di salvare un po’ del loro programma elettorale anti-austerità dall’inflessibile e generale ottusità “uber alles”.

Contrariamente a quello che potevano ragionevolmente aspettarsi, neppure uno dei Paesi che avrebbero potuto essere dalla loro parte – Francia, Italia, Spagna – alla fine si è scostato di molto dalla linea di Berlino: austerità, qualche concessione, più austerità, ancora qualche concessione, sempre meno pazienza e rispetto e soprattutto nessun ripensamento, dubbio o domanda sul fatto incontrovertibile che le ricette degli ultimi anni semplicemente non hanno funzionato. L’ossessione per il taglio delle pensioni e le privatizzazioni è sicuramente ideologica. La volontà di rimettere in riga chi ha pensato di poter fare altro non per non pagare i debiti, ma per poterli pagare in condizioni più realistiche e quindi più sicure, è, invece, molto politica. Non ci vuole un premio Nobel per capirlo. E infatti, quando Moscovici e Juncker hanno provato a giocare un ruolo autonomo dall’Eurogruppo sono stati prontamente rimessi in riga. In questo senso l’assenza di un player di un grande paese che accanto a Juncker possa contenere la panzerdivision  del duo Merkel-Schauble (impegnati in una partita “good cop-bad cop”, dove la Merkel è il poliziotto buono) e il loro paggetto Hollande si sente, e molto.

E cosi, ieri, nella più totale mancanza di trasparenza, i nostri eroi si sono incontrati con Draghi, La Garde e Juncker per discutere della crisi e per fare una proposta comune ai greci, che nel frattempo hanno rilanciato e hanno inviato un documento di 46 pagine “serio e realistico”. Hanno anche parlato di come affrontare la questione Cameron e il suo tentativo, quello sì molto trasparente, di smontare pezzi importanti dell’Ue, dalla libera circolazione o la primazia del diritto comunitario, da offrire sul piatto della sua opinione pubblica e poter dire “ormai la Ue è inglese, possiamo anche starci”. Merkel e Hollande non sono sicuramente d’accordo e stanno elaborando una strategia comune che sarà frutto non di un largo dibattito pubblico, ma di conversazioni tra pochi intimi. Mi piacerebbe sapere quale legittimità hanno questi conciliaboli. E come mai, dopo referendum, furiose polemiche e milioni di voti dati a forze euroscettiche in giro per l’Europa, ancora non si capisce che non è così che si ridarà corpo e anima al moribondo progetto europeo. Il rischio maggiore di questo metodo del caminetto o, meglio, del direttorio è, infatti quello di contribuire grandemente all’idea peraltro già anche troppo diffusa, che l’Ue non abbia una dimensione sovranazionale di potere autonomo e democratico e che solo gli accordi fra i governi, anzi tra alcuni governi, contino. Con la Commissione che, a dispetto delle sue prerogative e competenze (proporre le leggi, applicarle e farle applicare) è stata trasformata in una specie di Segretariato di lusso e il Parlamento europeo che, a dispetto dei reali poteri che ha secondo i Trattati, è stato messo da parte da procedure informali che sistematicamente lo escludono o si limitano a coinvolgere ogni tanto il suo vanitossissimo presidente Schulz.

Non è solo per una ragione romantica di fedeltà all’ideale federalista che penso che questa tendenza debba essere contrastata duramente. Ma perché senza una cornice europea che funzioni, protegga, indirizzi e nella quale possiamo essere protagonisti, noi nel giro di qualche anno saremo semplicemente fuori gioco, come popoli europei e come italiani. E’ quindi nostro specifico interesse giocare un ruolo più chiaro, determinato ed originale in Europa. Finora, nonostante le chiacchiere, Renzi non l’ha fatto. Si è semplicemente assicurato di essere lasciato al riparo da un’eccessiva attenzione europea sulle strategie interne di riduzione del debito. In cambio, non tocca palla.

Penso però che questo atteggiamento sia perdente. In Europa si conta se ci si sta e magari se si ha un’idea. E perché comunque l’Italia dovrà decidere rapidamente cosa fare anche su un altro fronte, quello dell’immigrazione e asilo, nel quale parte ancora una volta svantaggiata. Anche qui, la coppia diseguale Merkel-Hollande si sta muovendo in una direzione diversa da quella auspicata e soprattutto agisce per ostacolare la proposta della Commissione non solo nel merito, ma anche nel metodo: queste sono cose che decidono gli Stati. Dopo qualche parolina dolce e compassionevole, il messaggio è chiaro. Va bene un sistema temporaneo di re-localizzazione limitata per gestire gli arrivi. Ma è chiaro che Dublino non si tocca, che i Paesi dove i migranti arrivano devono, con l’aiuto dei fondi Ue, garantire una gestione adeguata e controllabile dei flussi che dia garanzie agli altri Paesi e dimostrino di sapere buttare rapidamente fuori chi non ha diritto di rimanere. E comunque poiché ci sono solo 5 paesi che si sobbarcano una situazione già difficile, bisogna prima di tutto che la redistribuzione sia più equa. Per di più, bisogna essere ben sicuri che la “migrazione secondaria”, cioè in pratica coloro che non possono accedere all’asilo, vengano rispediti al mittente rapidamente.

Insomma, il meccanismo pare finalizzato più a rendere efficace la cacciata dei clandestini che ad aiutare chi fugge. Il fatto di presentare questa proposta congiuntamente, pratica non inabituale nella discussione legislativa a livello Ue, manda però un messaggio negativo. Se Francia e Germania sono d’accordo, c’è poco da fare, pensano loro. Naturalmente, non è così. Ma senza un’adeguata strategia che costruisce alleanze tra governi, ma anche con il Parlamento, la Commissione e l’opinione pubblica in senso lato che costruiscano una storia alternativa, non faremo che continuare l’erosione di ogni azione comune e la messa in atto di  soluzioni parziali e umanamente meschine che ci costeranno ancora un pezzetto del nostro già quasi speso capitale di credibilità e autorevolezza internazionale. Vedremo nelle prossime settimane e mesi se Renzi saprà capire che mettere al laccio la sua minoranza è forse importante. Ma decidere di giocare un ruolo in Europa, magari su cause giuste come una politica comune di immigrazione, un’uscita dalla austerità e la preservazione del quadro legislativo europeo, può esserlo anche di più.

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