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Figli, le vostre strade domani

Figli, le vostre strade domani
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Attraverso la strada in piazza Venezia. A Roma. E d’improvviso, come una lama, mi trafigge un pensiero: qui, ma proprio in questo punto esatto, un giorno passeranno i miei figli da grandi. Forse Giovanni, o Adriano. Magari Mario.

Mi sembra di vederli. Chissà se vivranno a Roma, se saranno qui per caso come me stamattina. Ma passeranno di qui. Tutti passiamo da Roma.

Mi pare di vederli come se li avessi qui davanti. Ecco la figura alta e forte di Giovanni. Quella sottile e agile di Adriano. Mario con il passo altalenante, come fosse sempre un gioco. Soltanto una cosa non riesco a scorgere con l’immaginazione: il loro volto. L’espressione che hanno. Sono felici, guardano verso l’alto, verso la piazza del Campidoglio, il cielo di Roma così diverso dal nostro del nord, più chiaro, vicino alle case fino quasi a sfiorare i tetti? Oppure hanno gli occhi bassi, piegati dalle preoccupazioni? E c’è qualcuno accanto a loro?

Chissà se avranno dei figli, una moglie. Chissà dove saremo noi, mio marito ed io, in quel momento lontano. Futuro.

Adesso siamo insieme e con il tempo comincio ad accorgermi di quanto sia straordinario. Sempre più spesso penso che ci sia qualcosa di miracoloso – intendete come volete questa parola – di folle e vertiginoso nell’essersi incontrati: tra milioni di pianeti e di stelle, miliardi di anni.

Come scriveva Vladimir Nabokov nelle sue memorie (“Parla, ricordo”, pubblicato in Italia da Adelphi) in una pagina che ti lasciava folgorato e senza fiato: d’un tratto ti ritrovi in un’isola, piccola, sempre più piccola. Davanti, indietro, tutto intorno è un tuffo nel vuoto.

Per un attimo siamo tutti insieme. Ma sarà un attimo, un’eccezione molto breve concessa alla regola del tempo.

Voi un giorno tornerete qui, attraverserete la stessa strada dove sono ora. Io già vedo le vostre tracce e vi preparo il passaggio. Voi forse non vedrete le mie, non vi volterete indietro. È il destino dei genitori.

Del resto anch’io…non mi sono voltata a cercare le tracce di mio padre. E lui quelle del suo.

il Fatto Quotidiano, 20 aprile 2015

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