Spesso la parola “collaborazione” viene associata ai rapporti fra cittadini ed amministrazioni pubbliche. Quando ho avuto l’idea di creare social street in realtà pensavo alla collaborazione fra cittadini e cittadini, per me quella era la sfida da raggiungere. Il successo delle Social street si è basato proprio su questo, sull’idea di darsi una mano a vicenda fra residenti della stessa strada, sentirsi parte di una comunità. Quando mi invitano a parlare nei convegni, spesso mi viene chiesto quale debba essere il rapporto fra social street e la Pa, dando per scontato che debba sussistere. C’è bisogno delle istituzioni per organizzare un trekking urbano? Servono le istituzioni per organizzare un pic nic al parco o per condividere le biciclette della propria strada? Ovviamente no. Tuttavia è normale che spesso l’entusiasmo delle social street sfoci in progetti ambiziosi e si debba in qualche modo relazionarsi con l’amministrazione pubblica ed è stato interessante osservare cosa è avvenuto in questi due anni.

Le social street, come ormai sapete, si basano sull’informalità ovvero gruppi di persone che abitano nella stessa strada, che si ritrovano su Facebook e poi proseguono i rapporti nel mondo “reale” senza una struttura giuridica, senza un’organizzazione precisa. In molte social esiste uno “zoccolo duro” creato dagli amministratori e da chi partecipa attivamente, in altre realtà questo non avviene, c’è piuttosto un ricambio di persone oppure chi partecipa solo sporadicamenente ecco perché le social street sono alquanto “liquide”. Il problema dunque sorge quando questa liquidità incontra la Pa. Si è parlato molto del regolamento sulla cittadinanza attiva studiato da Labsus (laboratorio per la sussidiarietà) e del Comune di Bologna che per primo lo ha applicato prevedendo patti di collaborazione; su questo non mi dilungo, su internet trovate molte informazioni.

social-1Vorrei portare l’attenzione invece su chi non è stato sotto i riflettori mediatici ma che considero “innovatori sociali” anche nelle istituzioni. In ordine di tempo segnalo la neonata social street di Via San Pio X a Trento. I ragazzi che hanno fondato il gruppo fra le prime cose che hanno portato avanti è stata l’installazione di una libreria di strada installata in uno spazio pubblico. La questione era come un gruppo di cittadini potesse formalmente fare una tale richiesta all’amministrazione del Comune di Trento. La risposta è stata interessante e aggiungerei “coraggiosa” nel panorama attuale, un vero gesto di fiducia reciproca. I tecnici del comune hanno verificato che la costruzione non fosse pericolosa o dannosa per l’ambiente, dopodiché un semplice scambio di email fra la social street e l’amministrazione è stato protocollata. Nessun contratto firmato, nessun patto sottoscritto.

Sicuramente  è stata una scelta “coraggiosa” da parte dell’amministrazione ma in un momento storico in cui chiunque si lamenta della scarsa partecipazione civica, quando emergono dei cittadini intraprendenti esiste il grosso rischio di spegnere sul nascere questo entusiasmo ingabbiando il tutto in una burocrazia eccessiva.

A Roma la social street di Ottavia ha deciso di trasformare un momento di socialità nel prendersi cura dell’area presso la stazione lasciata al degrado. Non è stato richiesto nessun permesso ma gli amministratori del gruppo hanno informato il comune che si sarebbero occupati della pulizia. La risposta è stata positiva, l’assessore non si è preoccupato di trovare la forma legale per autorizzare quest’attività ma ha partecipato con i ragazzi fornendo il materiale.

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Le  social streets come quella di Ottavia, organizzano questi eventi non tanto per la pulizia in sé, quando per la socialità che esso comporta,  un momento per stare insieme, divertirsi e fare qualcosa di utile che molto spesso non ha una cadenza precisa o una continuità. Ecco che le amministrazioni più “illuminate” non si preoccupano di disciplinare a priori queste forme autorganizzate ma danno fiducia e vedono dove possono arrivare.

Ma se vogliamo comunque citare esperienze di collaborazione fra cittadini ed amministrazione pubblica totalmente regolamentate voglio portare l’attenzione ad un’esperienza nata del 2011, quindi ben prima la creazione del noto regolamento sui beni comuni citato sopra. Si tratta di Ci.Vi.Vo di Rimini (Civico vicino volontario). E’ un progetto nato dall’amministrazione comunale di Rimini che vuole recepire la disponibilità dei cittadini che vogliono rendersi utili per la gestione dei beni comuni, pulizia di giardini, cura delle spiagge, cura degli spazi interni ed esterni delle scuole etc. Senza tanto clamore, senza attendere un regolamento, l’amministrazione comunale ha predisposto una semplice delibera comunale di due paginette nel quale si disciplina il rapporto fra i volontari civici e l’amministrazione. Chiunque abbia intenzione di dare il proprio contributo, a Rimini può farlo nell’assoluta legalità e sicurezza. Il Comune infatti, oltre a fornire i beni per le attività, assicura i volontari – oggi circa 700 per 47 gruppi.

Come sottolinea Nadia Rossi (oggi consigliera regionale Emilia Romagna e promotrice del progetto voluto fortemente dal Sindaco Gnassi), Ci.vi.vo non sostituisce il ruolo che l’amministrazione deve svolgere ma accetta il contributo spontaneo e volontario dei cittadini. Ad esempio l’imbiancatura delle scuole pubbliche spetta ovviamente all’amministrazione ma i genitori se vogliono possono occuparsi delle decorazioni per rendere la scuola un ambiente migliore.  Le social streets sono nate e diffuse non seguendo le regole comuni (non ha una sede, non ha un’entità giuridica, non ha una forma..), anche l’amministrazione pubblica può trovare modi alternativi di interazione con queste realtà, perché alla fine sono le persone e non i regolamenti a fare la differenza.

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