I prodotti provenienti dagli insediamenti israeliani nei territori occupati e venduti nei paesi dell’Unione Europea dovranno presentare un’etichetta diversa da quelli made in Israele. Che sia una mossa per “garantire una corretta informazione per il consumatore”? O un modo per fare pressione su Benjamin Netanyahu, nella speranza di aprire un nuovo dialogo di pace tra Israele e Palestina? La “direttiva” contenuta nella lettera firmata da 16 ministri degli Esteri europei, tra cui anche Paolo Gentiloni, e inviata all’Alto rappresentante per la Politica Estera e la Sicurezza comune (Pesc), Federica Mogherini, ha suscitato la reazione sdegnata del governo di Tel Aviv e del suo ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman: “Vogliono mettere un’etichetta diversa? Perché non ci attaccano una bella stella gialla”, ha dichiarato il leader del partito Israel Beytenu, ricordando la persecuzione degli ebrei da parte dei nazisti.

Il documento arrivato sulla scrivania dell’ex ministro degli Esteri italiano è, in realtà, il secondo atto di una questione, quella dell’importazione dei prodotti provenienti dagli insediamenti israeliani in Cisgiordania, che risale al 2013, quando i rappresentanti del governo inviarono una lettera simile al predecessore di Mogherini, Catherine Ashton. “La continua espansione di insediamenti israeliani illegali nei territori occupati – si legge – minaccia il processo di pace”.

Non solo la tutela del consumatore, quindi, ma la volontà di ribadire la necessità di un passo indietro da parte di Tel Aviv sulla questione degli insediamenti, in pieno contrasto con la politica espansionistica promossa da Netanyahu nel corso dei suoi mandati. Una presa di posizione che, però, ha causato l’immediata reazione di Lieberman che si è lamentato anche per la “scelta temporale miserabile”. La lettera, infatti, è stata inviata a Lady Pesc il 13 aprile, due giorni prima della commemorazione per lo Yom HaShoah, la giornata israeliana del ricordo dell’Olocausto.

Non è la prima volta, però, che Israele e Unione Europea si scontrano sulla conduzione del processo di pace e sula politica degli insediamenti condotta dal premier Netanyahu. È stata proprio Federica Mogherini che, in più di un’occasione, ha chiesto al leader del Likud di fare marcia indietro sulla costruzione di migliaia di nuove strutture in Cisgiordania destinate a civili israeliani. L’atteggiamento di Tel Aviv è sempre stato visto come uno degli ostacoli più grandi al processo di pace tra Israele e Palestina e la questione dei confini viene regolarmente sollevata dai rappresentanti dell’Anp (Autorità nazionale palestinese) durante i colloqui.

D’altra parte, il governo israeliano non ha digerito le ultime e sempre più frequenti prese di posizione di molti stati membri dell’Unione Europea in favore di un riconoscimento dello Stato di Palestina, tra cui Spagna, Francia, e Svezia. Lo scontro , però, si è inasprito quando a votare ad ampia maggioranza la risoluzione che prevede la nascita di due stati, con capitale Gerusalemme, è stato lo stesso Parlamento Europeo.

Twitter: @GianniRosini

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