In queste settimane sui giornali si discute sull’esistenza ed il significato della sinistra. Maurizio Landini afferma che “se Renzi è di sinistra, io non sono di sinistra”. Nel senso comune la politica di sinistra è quella del Pd. La politica di sinistra, al contrario, dovrebbe essere quella che crea benessere per chi, nella scala sociale, sta nella parte bassa.

Da quando sono consigliere comunale a Cagliari sto attento a tutto quello che si dice della mia città, ma cerco anche di recuperare indicatori che parlino da soli. I Centri Servizi per il Lavoro (Csl) sono i vecchi uffici di collocamento. Ai Csl si possono iscrivere disoccupati, inoccupati e partite Iva che dichiarino meno di 4.800 euro all’anno. Le dinamiche dei cagliaritani iscritti ai Csl sono le seguenti:

Disoccupati della città di Cagliari

ANNO

Numero Cittadini

M

F

Totale

Disoccupato

Inoccupato

Totale

Disoccupato

Inoccupato

Totale

 

2011

9.728

4.955

14.683

8.460

6.765

15.225

29.908 (dato di maggio)

2012

10.734

5.065

15.799

9.572

6.678

16.250

32.049 (dato di maggio)

2013

12.634

5.242

17.876

11.422

6.867

18.289

36.165 (dato di maggio)

2014

13.227

5.300

18.527

11.814

6.729

18.543

37.070 (dato di dicembre)

Fonte: Csl

L’arco temporale che va dal 1 giugno 2011 al 31 dicembre 2014 è di 1.309 giorni. In questo periodo gli iscritti al Csl, residenti nel comune di Cagliari, sono aumentati di 7.162 unità. Ogni giorno 5,4 cagliaritani, prima non iscritti, si sono iscritti al Centro servizi per il lavoro. A questi sono da aggiungere gli scoraggiati, anche se la “garanzia giovani” avrebbe potuto spingere diversi scoraggiati ad iscriversi al Csl. Se dividiamo 37.070 per 154.712 (i residenti) arriviamo a 0,239, cioè il 23,9% dei cagliaritani è iscritto al Centro servizi per il lavoro. Nel 2011 era il 19,1%.

C’è da dire che prima o poi questo trend si dovrà fermare: siamo a livelli greci. Cagliari è in linea con le dinamiche del resto della Sardegna. Anzi, il trend sembra leggermente peggiore. Il problema è che, in tutti i documenti programmatori, si scrive che le aree urbane, metropolitane, dovrebbero trainare il resto dei territori. La risposta peggiore sarebbe non affrontare il problema, o dire che l’amministrazione comunale non può fare nulla. Siamo veramente convinti che sia così? Il secondo livello politico in Sardegna, dopo il consiglio e la giunta regionale, non può fare politica e deve fare semplice amministrazione?

Questa domanda è ancora più forte se leggiamo il programma elettorale della coalizione vincente depositato nel 2011, qualche mese prima del voto: “Nei prossimi cinque anni ogni giorno almeno un occupato in più; ogni giorno almeno la stabilizzazione per un precario; ogni giorno almeno un’altra donna che conquista il lavoro; ogni giorno almeno un giovane che inizi a lavorare”.

Ogni giorno 5,4 in meno, altro che uno in più al giorno! E potremmo aggiungere l’aumento dei cassintegrati. A fronte di questi dati, un dirigente di SeL, lo stesso partito del sindaco, ha presentato la seguente linea difensiva su Twitter: “Il Comune fa quanto di sua competenza: investire i soldi pubblici, siamo la seconda città in Italia. Senza i lavori sarebbero dati peggiori”. Questa osservazione pone un problema epocale, proprio per quelli che vogliono ancora definirsi di sinistra: quando siamo al potere nel capoluogo sardo dobbiamo amministrare e basta, o dobbiamo anche fare politica e dare risposte?

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