Sarà che il capitolo più facile da tagliare, il welfare, è il più impopolare. Mentre far calare la scure su quelli più difficili causerebbe troppe resistenze. E, come il premier Matteo Renzi non manca mai di ricordare, la spending review è una scelta politica. Fatto sta che da una trentina d’anni i governi italiani tentano di ridurre la spesa pubblica, ma i risultati parlano da soli: nel 1990 le uscite complessive dello Stato, contando anche gli interessi sul debito, ammontavano (in euro e al cambio attuale) a circa 340 miliardi, nel 2000 sono salite a 549 e nel 2014 sono lievitate a 825 miliardi. “Colpa”, stando ai dati della ragioneria generale dello Stato, di pensioni e altre prestazioni sociali ma soprattutto della voce “amministrazione generale, vale a dire il costo sostenuto per beni e servizi acquistati dalla pubblica amministrazione. Ora, dopo il ritorno di Carlo Cottarelli al Fondo monetario internazionale, Renzi ci riprova nominando un altro commissario ad hoc. I prescelti sono il deputato Pd Yoram Gutgeld, ex partner della società di consulenza McKinsey e consigliere della prima ora del premier, e Roberto Perotti, docente alla Bocconi e collaboratore del sito lavoce.info. Da adesso in poi saranno i due economisti che dall’anno scorso siedono nella informale “cabina di regia economica” di Palazzo Chigi a proporre dove utilizzare le forbici per limare le uscite di ministeri, amministrazioni locali ed enti previdenziali. Un’impresa da far tremare le vene dei polsi, visto l’esito dell’azione dei predecessori.

Da Giarda a Cottarelli una lunga sequenza di tentativi falliti – In principio furono le Commissioni tecniche per la spesa pubblica, la prima in attività dal 1986 al 2005 ​sotto la guida di Piero Giarda ​e la seconda operativa ​dal 2007 al 2008​ per volere dell’allora ministro Tommaso Padoa Schioppa.​ Mario Monti nel 2012 ha provato a mettere in campo, a fianco dello stesso Giarda nominato nel frattempo ministro per i rapporti con il Parlamento, addirittura il tridente Giuliano Amato  Enrico Bondi Francesco Giavazzi: l’ex premier e giudice costituzionale si è occupato di analizzare i finanziamenti ai partiti, l’ex commissario straordinario di Parmalat e dell’Ilva ha proposto un piano di razionalizzazione della spesa per acquisti di beni e servizi e l’economista della Bocconi ha messo a punto raccomandazioni sui contributi alle imprese. Ma solo sul primo aspetto è intervenuta una legge ad hoc che elimina in maniera graduale i contributi pubblici, pur continuando a prevedere corpose agevolazioni fiscali. Dimessosi Bondi, è stata la volta del ragioniere generale dello Stato Mario Canzio, rimasto in carica solo cinque mesi a cavallo dell’avvicendamento tra Monti ed Enrico Letta. Quest’ultimo per affrontare il problema ha chiamato in Italia da Washington Cottarelli, che ha finito il lavoro sotto il nuovo esecutivo. Giusto il tempo di presentare il piano per disboscare la “giungla” delle società partecipate, ancora inattuato, e l’economista ha avuto il benservito da Renzi e se ne è tornato all’Fmi.

Intanto le spese dello Stato continuano a lievitare – Ed ecco gli esiti: in base agli ultimi Documenti di economia e finanza (Def) le spese correnti, al netto di quelle in conto capitale e degli interessi passivi sul debito pubblico, si sono impennate dai 661 miliardi del 2009 ai 681 del 2014. In mezzo, nel 2011 e 2012, c’è stato un lieve calo, ma l’illusione è durata poco. E per il 2015 è previsto un altro aumento a 689,8 miliardi. Per di più, stando alle stime del governo, non andrà meglio nemmeno negli anni successivi, quelli che dovrebbero segnare il decollo della ripresa produttiva e di conseguenza essere caratterizzati da un minor ricorso agli ammortizzatori, sgonfiando così il capitolo prestazioni sociali. Nel 2016 l’esborso complessivo è visto in salita a 699 miliardi, per toccare i 711 nel 2017. In quell’anno l’impatto sul pil dovrebbe calare dal 42,9% del 2014 al 41,1%, ma solo grazie al previsto aumento del prodotto. Sempre che il governo non riesca a mettere a segno i risparmi indicati nel Def dello scorso anno: fino a 17 miliardi quest’anno e 32 nel 2016. Il nuovo Documento è atteso entro dieci giorni e sarà la cartina di tornasole delle intenzioni dell’esecutivo.

Indispensabili 16 miliardi di tagli per evitare aumento dell’Iva – Intervenire è urgente. Perché entro fine anno la “priorità assoluta”, come confermato da Gutgeld in un’intervista a Repubblica subito dopo la nomina, è togliere di mezzo la spada di Damocle che incombe sulle prospettive di ripartenza dell’economia: le clausole di salvaguardia con cui, come ricordato di recente dalla Corte dei Conti, le ultime manovre finanziarie hanno sostituito i tagli di spesa, rinviandoli al futuro. Si tratta di postille che dispongono aumenti automatici di accise e aliquote nel caso in cui le previsioni dell’esecutivo sul gettito o, appunto, sui risparmi da razionalizzazioni della spesa si rivelino troppo ottimistiche. In mancanza di interventi, nel 2016 sommando le clausole delle leggi di Stabilità di Letta e di Renzi scatteranno ritocchi all’insù dell’Iva e delle accise sui carburanti per un ammontare di oltre 16 miliardi. Occorre dunque trovarne altrettanti con misure sostitutive. E l’esecutivo conta di poter inserire un capitolo ad hoc nel prossimo Def, atteso per aprile. Poi l’impresa promette di diventare ancora più difficile: per il 2017 e 2018 dovranno essere reperiti rispettivamente 25,5 e 28,2 miliardi.

Al via sulla carta i tagli alle partecipate. Interventi timidi su prefetture e polizia – Gutgeld e Perotti non partiranno da zero. Il deputato di origini israeliane ha ribadito sabato quel che il ministro Pier Carlo Padoan assicura da un mese: i dossier fantasma di Cottarelli “saranno presto resi pubblici” e anche da lì verranno tratte indicazioni. Diverse proposte dell’ex commissario sono state già archiviate (vedi il piano “città buie“) ma l’intervento sulle partecipate, almeno sulla carta, procede. Alcune misure di riordino, come il commissariamento di quelle in rosso, sono state inserite nella riforma della Pa di Marianna Madia, attesa in aula al Senato il 2 aprile dopo mesi di stallo in Commissione. Entro fine mese governatori, presidenti delle province, sindaci e vertici di università e Camere di Commercio dovranno approvare un piano con i dettagli del programma di razionalizzazione che intendono portare avanti e i risparmi previsti. Sempre nel ddl pa sono poi entrati la razionalizzazione delle Prefetture, che da 110 scenderanno a 40-70 e verranno in parte assorbite dai nuovi Uffici territoriali dello Stato, e dei corpi di polizia, che scenderanno da cinque a quattro (Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza e Penitenziaria) in seguito all’abolizione della Forestale. Stop poi alle sovrapposizioni tra ministeri e authority indipendenti. E il Consiglio dei ministri di venerdì ha varato un nuovo decreto sui costi e fabbisogni standard di Comuni e Regioni in una serie di settori (dall’istruzione alla gestione del territorio) con l’obiettivo di ridurre l’eccessiva variabilità delle uscite. Nel Def dovrebbe infine essere messo nero su bianco l’ammontare delle risorse che il governo punta a recuperare con la dismissione degli immobili pubblici. E’ invece in un ddl ad hoc la razionalizzazione del trasporto pubblico locale, con l’obbligo di gare per l’affidamento del servizio e un taglio delle risorse alle Regioni che non lo rispettano.

Pensioni e sanità di nuovo nel mirino – Sulle pensioni, come confermato dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti e dal presidente dell’Inps Tito Boeri, si attende a breve un nuovo intervento per dare la possibilità a chi lo vuole di lasciare il lavoro in anticipo accettando un assegno ridotto. Gutgeld, Perotti e lo stesso Boeri hanno anche auspicato il ricalcolo con il metodo contributivo delle “vecchie” pensioni retributive e una pesante tassazione della parte non dovuta sulla base dei contributi versati. Parlando con il quotidiano di Largo Fochetti, il deputato Pd spiega che “la decisione politica è stata di non riaprire” la questione, ma sembra propenso a intervenire sulla “frammentazione” dell’assistenza sociale tra Inps, Comuni e aziende sanitarie locali, perché oggi “finisce che alcuni godono di tre prestazioni, altri di nessuna”. Un altro capitolo di spesa nel mirino è quello della sanità: anche qui secondo Gutgeld la parola d’ordine è “costi standard”. La titolare Beatrice Lorenzin ha detto che “gli esami diagnostici inutili legati alla medicina difensiva costano all’Italia 13 miliardi di euro l’anno” e il ministero sta lavorando a “protocolli stringenti che evitino gli sprechi”. Secondo Lorenzin ci sono poi spazi di intervento anche nell’ambito dei ricoveri, spesso troppo lunghi. Come evidenziato dalla Corte dei Conti, però, la distanza tra una riduzione virtuosa della spesa e un peggioramento dei servizi ai cittadini è breve. Infine, è noto che Gutgeld è scettico sulle grandi opere come il Tav. “Di fatto comportano una redistribuzione di risorse da chi ha pagato le tasse ai costruttori”, ha detto poche settimane fa durante un convegno a Milano. Aprendo all’idea di imporre al Cipe un’analisi costi-benefici per verificare l’opportunità di investire miliardi in quel progetto.

Modificato da redazionweb alle 11.50 di domenica 29 marzo

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