L’Arabia Saudita bombarda lo Yemen. Con il supporto di Lega Araba, Stati Uniti e Gran Bretagna e l’opposizione di Iran e Siria schierati al fianco dei ribelli Houthi. Il presidente deposto Hadi, che aveva chiesto il via libera all’intervento al Consiglio di sicurezza dell’Onu, è arrivato a Riyad per proseguire alla volta di Sharm El Sheikh, dove è in programma il vertice della Lega araba. Dopo la presa di Sanaa da parte dei ribelli sciiti e il proseguire della loro avanzata verso sud, appoggiati dalle forze fedeli all’ex presidente Ali Abdullah Saleh, l’Arabia Saudita, che già aveva ammassato le truppe al confine, ha sferrato l’attacco che subito ha portato i paesi dell’aera a prendere posizione. Associated Press annuncia che le forze di terra entreranno in Yemen dall’Arabia e, con navi, dal Mar rosso e da quello arabico. Riyad ha dispiegato 100 caccia e 150mila soldati, cui si aggiungono unità navali. Nel mirino le installazioni Houthi, con l’obiettivo di prendere il controllo dello spazio aereo yemenita.

Almeno 25 civili sono stati uccisi e 50 sono rimasti feriti, riferiscono i soccorritori locali. I caccia sauditi hanno distrutto la pista di atterraggio nella base vicino all’aeroporto civile di Sanaa e magazzini di armi in una base missilistica controllata dalle forze leali all’ex presidente yemenita Ali Abdullah Saleh. L’aeroporto internazionale invece è rimasto danneggiato ed è stato chiuso.

A sostenere l’attacco l’Egitto, con quattro navi da guerra dirette verso le coste del Paese per garantire la sicurezza nel golfo di Aden, ma anche gli Stati Uniti che stanno fornendo il supporto logistico e di intelligence, autorizzata dal presidente Usa Barack Obama dopo una consultazione ad “alti livelli”, come riferisce un ufficiale Usa citato dalla Reuters che ha chiesto di mantenere l’anonimato. “Gli Houthi hanno scelto la via della violenza. I sauditi faranno tutto il necessario per proteggere il popolo yemenita e il legittimo governo dello Yemen”, ha invece fatto sapere l’ambasciatore saudita a Washington, Adel al-Jubeir, secondo il quale Riyad è in contatto con l’amministrazione Usa sull’operazione. Il segretario di Stato John Kerry ha tenuto una conferenza telefonica con i ministri degli Esteri dei paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo per discuterne.

Il quadro strategico nella regione “sta cambiando a vantaggio dell’Iran, non si può ignorare ciò”. Così ha commentato il capo della diplomazia degli Emirati Arabi, Anwar Gargash, riferendosi al sostegno fornito da Teheran ai ribelli sciiti dopo che in nottata Riyad, Emirati, Bahrein e Qatar avevano fatto sapere di aver “deciso di contrastare le milizie Huthi, al Qaida, e l’Isis nel Paese”. Il Sudan, annuncia il ministro della Difesa Abdel Raheem Mohammed Hussein, parteciperà all’operazione militare. In Pakistan è in corso la valutazione della richiesta dell’Arabia di inviare dei soldati in Yemen. Anche la Turchia fa sapere d’essere stata informata dall’Arabia prima del lancio dell’operazione e sostiene l’operazione militare con una nota del Ministero degli Esteri in cui si legge che “Il gruppo sciita houthi e i suoi “sostenitori stranieri” devono rinunciare ad azioni che minaccino la pace e la sicurezza nella regione”. Sostegno anche da parte del Kuwait e dell’Autorità nazionale palestinese.

L’operazione viene osteggiata dai paesi a maggioranza sciita, in prima fila l’Iran e poi la Siria, il cui governo guidato da Bashar Assad ne è alleato, che definisce l’operazione saudita un atto di “aggressione senza ritegno”. Il gruppo militante sciita libanese Hezbollah ha inviato a Riyad i suoi alleati per interrompere i bombardamenti: “Quest’avventura, che manca di saggezza e di giustificazioni legali e legittime ed è guidata dall’Arabia Saudita, sta portando la regione verso un aumento delle tensioni e ne mette in pericolo il futuro e il presente”, si legge in un comunicato. Anche l’Iraq non condivide l’operazione militare: “L’uso delle armi fuori dal proprio Stato pone i Paesi a un nuovo livello e a una militarizzazione delle differenze politiche”, ha detto Ibrahim al-Jaafari, ministro degli Esteri iracheno, che ha sottolineato come il Paese sia “impegnato sul piano politico all’interno del summit arabo per risolvere la crisi in Yemen”.

L’Italia era stata informata mercoledì dell’intervento militare con una telefonata del Principe Saud al-Faisal alla Farnesina. Il Ministro Gentiloni ha espresso “comprensione per le preoccupazioni” per gli sviluppo della crisi yemenita e ha fatto riferimento alla necessità di non pregiudicare l’impegno negoziale Onu. Posizione condivisa anche da Cina e Russia, che inviato alla risoluzione dell crisi con mezzi pacifici. Mosca, in una nota, informa di essere “in contatto con tutte le parti coinvolte negli sviluppi in Yemen” e che proseguono gli “sforzi per una soluzione al più presto del conflitto militare” ed il presidente Putin ha chiesto, parlando al telefono con l’omologo iraniano Hasan Rohani,  un “immediato cessate il fuoco delle attività militari”,

Del resto il ministro degli Esteri saudita, Saud al Faisal, col crescere della tensione aveva già precisato che “se non ci sarà una soluzione pacifica” i Paesi del Golfo “prenderanno le misure necessarie per mettere fine all’aggressione”, mentre l’alto rappresentante dell’Ue per la politica estera Federica Mogherini aveva chiesto agli “attori della regione” di agire in modo “responsabile e non unilaterale”.

 

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