Dopo un weekend di trattative, è stato raggiunto l’atteso accordo che entro la fine della prossima estate sancirà l’ennesimo cambio in testa all’azionariato della Pirelli ormai pronta a battere bandiera cinese. Lo ha annunciato una nota che spiega come gli azionisti di Camfin e Cnrc, controllata di ChemChina, hanno firmato l’accordo per “una partnership industriale di lungo termine” per la Bicocca.  L’intesa che vedrà i cinesi salire al controllo del gruppo degli pneumatici ”rappresenta una grande opportunità per Pirelli. L’approccio al business e la visione strategica di Cnrc garantiscono lo sviluppo e la stabilità di Pirelli”, ha commentato a caldo Marco Tronchetti Provera, che negli ultimi tre anni ha cambiato ben tre soci strategici, da Malacalza ai russi di Rosneft, via Clessidra. Fermo restando l’impegno al suo fianco delle banche creditrici Intesa e Unicredit, con la seconda che, secondo quanto trapelato nei giorni scorsi, si appresta addirittura a finanziare l’ingresso di Pechino nella Bicocca. In pratica la vera nota di stabilità nella storia recente del gruppo che a fine 2014 aveva un debito finanziario netto di 980 milioni di euro. Oltre ovviamente alla poltrona di Tronchetti Provera, per altro grande sostenitore della rottamazione dell’articolo 18.

I cinesi, come i russi prima di loro, hanno garantito all’ex genero di Leopoldo Pirelliche guida l’azienda da 24 anni, inclusi quelli dell’acquisizione di Telecom costata una perdita di 3,2 miliardi – il timone fino al 2021 contro il 2019 fissato da Rosneft. “La parti riconoscono il ruolo centrale dell’attuale top management di Pirelli quale elemento chiave del suo successo, della sua crescita e delle sue attività – si legge a tal proposito nella nota – La partnership, infatti, si fonda sulla continuità della cultura imprenditoriale e di business di Pirelli”. Mentre il presidente di ChemChina, Jianxin Ren si è detto “molto lieto dell’opportunità di diventare partner di Marco Tronchetti Provera e del suo team per continuare a costruire insieme un gruppo di portata mondiale e un leader del mercato nell’industria globale dei pneumatici”. Niente di ufficiale, invece, sul fronte dei debiti a valle dell’operazione. Per il momento le parti si sono limitate a far sapere che il nuovo socio cinese “ha sottoscritto un impegno con J.P. Morgan Limited, che agirà in qualità di arranger e di sottoscrittore del finanziamento del debito a servizio dell’acquisizione”. Nei giorni scorsi il Sole 24 Ore aveva parlato di un prestito di 8 miliardi di dollari, cifra che, tradotta in euro, corrisponde al controvalore complessivo dell’operazione, 7,5 miliardi di euro, metà dei quali destinati ad essere versati in un secondo momento da Unicredit. Senza contare il rifinanziamento del debito di Pirelli.

Di come e dove verranno contabilizzati questi prestiti, però, si saprà con certezza in un secondo momento. Più chiara, benché complessa, è invece la struttura dell’operazione. Secondo quanto confermato dalle parti, è previsto che i russi e dagli italiani, attualmente soci in Camfin, vendano il loro 26,2% di Pirelli a una società di nuova costituzione di nome Bidco a un prezzo fissato in 15 euro per azione che valorizza la quota 1,8 miliardi di euro e l’intera società della Bicocca 7,5 miliardi. La società, che allo stesso prezzo lancerà poi un’offerta sul restante capitale ordinario e su quello di risparmio di Pirelli, sarà dal 50,1% in su sotto il controllo di ChemChina, mentre Camfin nei sei mesi successivi all’offerta avrà la facoltà di portare la propria partecipazione al massimo fino al 49,9 per cento a seconda degli esiti dell’Opa. In questo contesto il peso tra italiani e russi, con possibilità di divorzio regolamentata, sarà rivisto con una lievissima riduzione della quota di Rosneft che dall’operazione guadagnerà ben 3 euro per azione per un totale di 187 milioni di euro. Nel caso di adesione massima all’offerta e quindi del ritiro di Pirelli dalla Borsa, i cinesi avranno il 65% del capitale della controllante di Bidco, mentre i russi e gli italiani porterebbero la loro quota dall’attuale 26,2% al 35% con i primi sostanzialmente invariati al 12,6% e i secondi lievitati al 22,4 per cento.

In base ad un preciso accordo modificabile solo dal 90% dei voti in assemblea, poi, sede e centro di ricerca della Bicocca rimarranno in Italia. Sul fronte industriale, invece, il piano prevede la separazione della produzione di pneumatici per auto e moto (Tyre) da quella per i veicoli pesanti (Truck), destinata a sua volta a combinarsi con Aeolus Tyre (ChemChina), per diventare il quarto produttore mondiale di gomme per camion. Pirelli Tyre, invece, potrebbe tornare in Borsa entro quattro anni più snella di prima. Il condizionale in ogni caso è d’obbligo. All’appello manca infatti il parere dei titolari del 22,59% di Pirelli. Si tratta, oltre che dei fondi Fil Limited ed Harbor International, rispettivamente con il 2 ed il 5,06%, della famiglia Benetton che con il suo 4,6% incasserebbe 328,8 milioni ma che nel 2013 ha emesso un bond da 200 milioni rimborsabile con il 3% di Pirelli a un prezzo di conversione di 13,85 euro, di Mediobanca che conta Tronchetti tra i suoi vertici e Unicredit tra i suoi azionisti di peso e che con il suo 3,95% porterebbe a casa 282,161 milioni. Convitato di pietra, poi, la famiglia Malacalza con il 6,98% che ha dato un primo segnale manifestando l’intenzione di non aderire subito all’offerta e per alzare la posta potrebbe fare leva anche su un potenziale potere di veto sul ritiro dalla Borsa.

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