Nelle prime due settimane di marzo, ce lo dice il Barometro di Luigi Ricci, Rai e Mediaset stanno rafforzando le ammiraglie, appaiate in testa alla lista dei canali più seguiti, con il 17% per ciascuna. Diciassette più diciassette fa 34 e dà la misura di quel che più di un terzo del pubblico cerca in tv: la festa delle canzoni e dei corpi in piazza e sulle isole e la commozione delle carrambate e dei teleromanzi (le telenovelas più o meno all’italiana). La cosa notevole è che oggi a casa Mediaset vedono crescere anche i canali di supporto generalista, e cioè Italia1 e Rete4. Qui si sta sempre più lavorando sull’allarme, sia nel campo delle truffe (dove Le Iene dilagano) sia nel mondo degli shock sociali (immigrazione e paranoie varie) curato da Del Debbio con metodo socratico nella forma (il porre domande che ti intrappolano in una risposta necessitata) e salviniano negli esiti, sia pure, diremmo, in chiave “pateticità riformista”.

Vista la cura con la quale sta definendo e sempre più specializzando le identità editoriali della tripletta dei canali maggiori, sembra che Mediaset non abbia affatto intenzione di lasciare il campo della tv che l’ha fatta prosperare per decenni, fino agli ultimi anni di vacche pubblicitarie magre e di Premium scheletrico. Anzi, si ha la sensazione che a Cologno Monzese abbiano davvero deciso di darci dentro, rafforzando le basi editoriali dei canali storici, come suggerisce il notevole sforzo di qualificazione (squalificazione per chi detesta il sullodato Del Debbio, vedendovi l’Emilio Fede reincarnato) di Rete 4, per decenni rete di rincalzo, ospizio mediatico per il pubblico più anziano, con la Messa della domenica e i film e telefilm più stagionati. Come si spiega tutto questo impegno del gruppo di Berlusconi?

Forse valutando quello che potrebbe accadere alla Rai. In questo senso è assai forte il segnale che viene dal previsto accorpamento delle testate (il modello moltiplicheRAI) in un paio di newsroom e domani in una sola, come nelle televisioni normali. Questa è la mossa necessaria, anche se non sufficiente, per ripensare l’area dei media televisivi di proprietà dello Stato come un campo evolutivo anziché come un mondo che punta sulla staticità dei ruoli nell’ambito del Duopolio.

Se il Duopolio viene, per ora solo “oggettivamente”, rimesso in discussione, Mediaset deve radicarsi di più nel pubblico e meno nel Potere (anche se immaginiamo che la discussione sarà più o meno incisiva a seconda che il Patto del Nazareno sia vivo, morto per sempre o destinato a risorgere). E comunque è un dato di fatto che il sistema che pareva fermo si è rimesso in moto, anche se per ora il motore gira in folle. È per questo che non ci sentiamo di sottolineare più di tanto i problemi di casa Rai in questo marzo piovoso in cui, mentre Mediaset si rafforza, Rai Uno regge, ma tutto il resto (Rai2, Rai3 e canaletti vari) arretra, e neppure di poco. Quelle sono le notizie tipiche della guerra (si fa per dire) di trincea, affabulata per decenni. Oggi si è passati alla guerra di movimento, dove se non corri muori anche più in fretta.

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