Le tempeste di vento che hanno colpito varie zone del paese hanno fatto molta paura, gravi danni e alcune vittime. Raffiche anche superiori a 150 km/ora sono eventi assai rari in Italia. La scala empirica di Beaufort classifica in Forza 12 (uragano) gli eventi con velocità superiori a 120 km/ora. In Toscana bisogna ritornare al 1929 per ritrovare intensità paragonabili a quelle misurate in molte località, dalla Versilia all’aretino, dall’Appennino Settentrionale al litorale grossetano. Se sulla costa venti dell’ordine di 130 km/ora non sono una rarità, nelle zone di pianura di rado si superano i 100 km/ora. Forza 10 (da 88 a 103 km/ora) secondo la scala Beaufort da 0 a 12.

Le tempeste di vento possono produrre catastrofi immani in molte zone del pianeta. Pochi mesi fa, le tempeste di vento e neve hanno provocato decine di morti lungo il circuito di trekking dell’Annapurna in Nepal. Il ‘derecho’, la tempesta di vento lineare che colpì l’Ohio nel 2012, fece 22 morti, provocò ingenti danni e lasciò 5 milioni di persone senza corrente elettrica. Il vento fu la forzante decisiva per spiegare la distribuzione dei dissesti in Versilia nel 1996, la catastrofe che battezzò il neologismo di bomba d’acqua. Due tempeste quasi-lineari (tecnicamente: Quasi-Linear Convective System) colpirono a distanza di un giorno Minneapolis nel 2013 con gravi danni, ma un fenomeno simile aveva già fatto morti e feriti in quella città nel 1949 e proprio nella stessa zona: la fortuna è cieca ma la malasorte ci vede benissimo.

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Anche in Europa le tempeste di vento possono produrre impatti economici e sociali devastanti. Le tempeste Anatol, Lothar e Martin del 1999 hanno fatto 14 miliardi di dollari di danni, in base alla stima di Swiss Re, la compagnia svizzera di ri-assicurazione, tra le maggiori del mondo. In Francia Martin non solo fece 30 vittime ed enormi danni a edifici e infrastrutture, ma provocò anche inondazioni disastrose, che coinvolsero anche la centrale nucleare di Blayais. Queste tempeste possono quindi causare ingenti danni: l’interruzione di corrente a milioni di persone, la chiusura delle reti di trasporto, il collasso di muri, edifici e altre strutture; e poi sradicare alberi, innescare incendi e provocare incidenti industriali. E nei casi peggiori possono causare decine di morti.

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La Protezione Civile italiana si attrezza all’emergenza con specifiche attività (conoscitive, preventive, previsionali) su una molteplicità di rischi: sismico, vulcanico, meteo-idro, maremoto, incendi, sanitario, nucleare, ambientale e industriale. Le tempeste di vento rientrano nell’area meteo-idro, il cui focus, storicamente, sono le alluvioni che minacciano vaste aree del paese; ma non è stata mai fatta una specifica attività conoscitiva sulle aree messe in pericolo dal vento, né sull’esposizione, né sulla vulnerabilità al rischio in tali aree. Gli studi sul vento hanno finora mirato a stabilirne il potenziale energetico, piuttosto che valutare la sua pericolosità e il suo impatto e individuare le possibili misure di prevenzione. Se anche l’Italia entra (come Spagna, Francia, Gran Bretagna e Germania) tra i paesi a rischio di tempeste di vento, bisognerà attrezzarsi culturalmente. E l’entità del danno atteso non è trascurabile, se il mondo assicurativo è assai attento a questo rischio.

Nel 2012 il presidente Obama ha proclamato settembre quale National Preparedness Month: il mese in cui la nazione si prepara ad affrontare le emergenze, catastrofi naturali e disastri causati dall’uomo. Si tratta di uno sforzo a livello nazionale per incoraggiare individui, famiglie, imprese e comunità a lavorare insieme per prepararsi alle emergenze. Una campagna importante, giacché solo il 17% degli americani si dice molto preparata ad affrontare una situazione di emergenza. Anche se, da Alexis de Tocqueville in poi, filoamericani e antiamericani si contrappongono su tutto, questa iniziativa è tuttavia da apprezzare, come ci piacciono comunque Bob Dylan, la Fender Strat e il chewing-gum. E da imitare.

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