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I danni del giornalismo emotivo

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Leggendo la stampa in questo periodo – dopo navi incendiate, tagliatori di teste, infanticidi, disastri aerei e Charlie Hebdo – mi è ritornato in mente quanto scriveva Noam Chomsky sulla comunicazione emotiva. Ed ecco che un collega per caso mi manda un link con il famoso decalogo di Chomsky sui sistemi mediatici di manipolazione delle coscienze. Una delle dieci leggi è appunto la comunicazione emotiva: col pretesto di informare, si indugia su particolari raccapriccianti, su dettagli scabrosi, su titoli che servono solo a esprimere sbrigativi giudizi; si intervista gente fuori di testa, si gonfiano le notizie disastrose e spesso nella cronaca ci si abbandona a una cattiva letteratura umorale e catastrofista.

Pessimo giornalismo, sì, ma anche ottimi e adeguati professionisti però, perché questo pessimo giornalismo è proprio quello che serve al sistema politico che sta dietro alla stragrande maggioranza della carta stampata. È proprio quello che ai giornali viene chiesto e non scrivo della Tv per carità di patria.

giornalismo emotivo

Si vuole prima di tutto che i lettori non pensino e poi che reagiscano in base a quello che leggono: scatenare emozioni forti di odio, indignazione, disgusto, panico e disperazione abbassa la soglia della riflessione critica e del pensiero razionale; si forma – in altre parole – un corto circuito mentale che impedisce non solo di considerare la complessità delle situazioni e di costruirsi un’opinione personale, ma anche solo di voler conoscere ed esaminare i fatti. Il lettore crede di pensare e invece reagisce. L’uso del registro emotivo, inoltre, intercetta l’inconscio generando insicurezza, depressione, ansia e violenza e anche queste reazioni potranno poi essere politicamente utilizzate.

La manipolazione si completa così agendo sulla coscienza e sull’inconscio dei lettori. Davvero, se le catastrofi non ci fossero, dovrebbero inventarle.

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