La Cina indaga 32 funzionari della regione occidentale a maggioranza musulmana dello Xinjiang. Sono accusati di aver accettato mazzette in cambio dell’autorizzazione di recarsi in pellegrinaggio alla Mecca. La Repubblica popolare, infatti, autorizza solo un numero prefissato di cittadini musulmani all’anno a compiere il hajj, uno dei cinque pilastri dell’Islam. Secondo il quotidiano di Partito China Daily nel 2014 sono stati organizzati 14mila pellegrinaggi, ma alcuni dei pellegrini “non erano qualificati” per questi viaggi.

Così Aniwar Turdi, direttore del dipartimento per i pellegrinaggi del Comitato per gli affari etnici dello Xinjiang, è stato espulso dal Partito assieme ad altri cinque colleghi. Altri 26 funzionari sono stati rimossi dai loro incarichi e messi sotto indagine. Sono accusati di aver accorciato le liste d’attesa per il pellegrinaggio che ogni buon musulmano deve compiere almeno una volta nella vita in cambio di mazzette.

La Repubblica popolare è particolarmente preoccupata che gli uiguri – l’etnia turcofona e musulmana che abita questa regione – che si recano all’estero possano partecipare alle esercitazioni militari organizzate dai fondamentalisti. Secondo il diplomatico Wu Sike, inviato speciale in medio oriente, sarebbero almeno cento i cittadini cinesi che si sono arruolati nelle fila dello Stato islamico. La maggior parte di essi proverrebbe dallo Xinjiang. Episodi di violenza e terrorismo si stanno intensificando nella regione. Negli ultimi due anni almeno 400 persone sono rimaste vittime degli scontri.

Gli uiguri lamentano che le tradizioni locali vengono osteggiate e soppresse dalla popolazione han, l’etnia dominante in Cina, che di fatto occupa anche i punti chiave dell’amministrazione della regione. Pechino a sua volta denuncia che gli uiguri starebbero mettendo su un movimento indipendentista che – dopo gli attacchi del 2001 alle Torri gemelle – è stato messo in correlazione con Al Qaeda. Da allora i cinesi sono convinti che gruppi organizzati di milizie uigure siano indottrinati e addestrati nel vicino Afghanistan per partecipare alla jihad mondiale.

Il 14 gennaio la polizia ha fermato a Shanghai 10 turchi accusandoli di fornire falsi passaporti per aiutare nove uiguri a lasciare il paese per andare in Siria, Afghanistan e Pakistan. Questi avrebbero pagato più di 8 mila euro per lasciare la Cina. È la prima volta che nazionalità straniere vengono coinvolte nella lotta cinese al terrorismo. Non è la prima volta, invece, che gli uiguri viaggiano con un falso passaporto turco. Pretendevano di essere turchi molti dei 200 che cercavano asilo politico in Thailandia e i 4 in Indonesia accusati di voler raggiungere un contatto con l’Isis.

Nel frattempo nella regione è stato vietato di comprare i botti di capodanno senza mostrare un regolare documento di identità, il burqa non è ammesso in pubblico a Urumqi, il capoluogo della regione, e una feroce campagna di propaganda è apparsa sui muri della città di Kashgar. Le immagini sono tutte incentrante sui nuovi divieti che il Pcc ha messo in atto per “arginare” l’integralismo islamico. I musulmani che si comportano male sono dipinti di nero.

Intanto gli uiguri, che fino agli anni Ottanta costituivano oltre l’80 per cento della popolazione dello Xinjiang, sono scesi a meno del 45 per cento. La chiamano “sommersione etnica” ed è la politica messa in atto da Pechino per favorire l'”integrazione” di aree a forte velleità indipendentista. Lo Xinjiang – regione ricca di risorse naturali come gas, petrolio e carbone – è destinato a soddisfare la sete di energia dello sviluppo cinese. Ma nel frattempo è dilaniato da quella che potremmo definire una guerra civile a bassa intensità.

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