Per il Medio Oriente il 2015 non dovrà essere un anno qualsiasi. A novembre si commemoreranno i vent’anni dell’assassinio del primo ministro israeliano Itzhak Rabin. Questa data dovrà essere celebrata nel rispetto del concetto e della politica di pace del primo ministro assassinato. In questi vent’anni Netanyahu ha governato tre volte e non si riesce a vedere un suo contributo per risolvere uno dei conflitti più complicati del Medio Oriente, quello israeliano-palestinese.

Gli israeliani – secondo i sondaggi dell’ultimo mese, in vista delle elezioni di marzo – non credono più alle proposte politiche di questo premier. I cicli di violenza, la situazione a Gerusalemme, la crisi del carovita in Israele (una recente statistica dice che il 90% delle famiglie israeliane finisce il mese in rosso, anche con guadagni intorno ai 20.000 shekel al mese, oltre 4.000 euro) sono tutti frutto della passività del premier e dei suoi alleati politici.

Una delle novità capace di infondere qualche ottimismo a chi è interessato alla trattativa con i palestinesi è la decisione di Zipi Livni e del suo partito di unirsi ai laburisti, che hanno come leader Bugi Herzog. In caso di vittoria, i due leader condivideranno il ruolo di primo ministro: due anni Livni, due anni Herzog.

Essi sanno quanto sia importante la soluzione politica che porti alla nascita di uno Stato palestinese accanto a Israele. Nell’ultimo anno il governo Netanyahu si è scontrato sia con Obama che con l’Unione Europea; entrambi non comprendono perché la risposta fissa del governo sia creare nuove case in territori che se non fossero occupati, certamente non sarebbero di sovranità israeliana. È da aggiungere un’altra verità poco nota fuori Israele: se si vogliono costruire nuove case per giovani coppie, o per persone che non hanno abbastanza soldi per comprarsi un immobile nelle grandi città, la Galilea e il Neghev hanno ancora molto spazio da offrire ai cittadini e ai governi israeliani.

israeleNell’ultimo anno Abu Mazen ha cercato di ottenere dalle Nazioni Unite il riconoscimento di uno Stato palestinese, da dichiarare nel 2016. La Comunità Europea ha riconosciuto questo Stato in linea di principio, e alle Nazioni Unite solo un veto americano bloccherà questo riconoscimento.

Il centro sinistra israeliano ha avuto in questi giorni un nuovo acquisto, il prof. Trajtenberg, che si è occupato delle misure che il governo israeliano deve prendere per abbassare il caro vita.

Egli ben sa che la politica di Netanyahu non porterà all’abbassamento del carovita e ha deciso di unirsi alla Livni e a Herzog. La proposta di questi tre leader ad Abu Mazen dev’essere chiara: la nascita di uno Stato palestinese nei territori amministrati e governati dall’autorità palestinese. Nella prima fase Hamas e Gaza dovranno rimanerne fuori, e le ragioni sono le incessanti preparazioni belliche di questa organizzazione dalle scarse proposte pacifiche. Nelle ultime settimane Hamas ha testato il lancio di razzi al largo di Gaza, il 17 ha svolto un’esercitazione bellica a tutti gli effetti e dalla fine della guerra di agosto la ricostruzione di Gaza non è stata avviata dai leader di Hamas che governano e amministrano la Striscia. Anzi, con orgoglio parlano di nuovi tunnel da scavare, con costi che impoveriscono una popolazione già provata.

Le elezioni israeliane di marzo 2015 devono essere accompagnate da chiari piani per la soluzione del conflitto israeliano-palestinese. Se Netanyahu ne ha uno, in questi mesi lo dovrà rivelare. Liebermann ha già esposto il suo, Herzog e Livni dovranno fare altrettanto.
Abu Mazen ha dimostrato di essere un vero partner per una soluzione pacifica del conflitto.

La presenza degli ebrei nei territori occupati dopo il ’67 sfiora le 500.000 persone (e se i fanatici fra questi fossero anche solo il 10-15%, non esiterebbero a bloccare con le armi il ritiro israeliano dei coloni: si tratta di decine di migliaia di persone che hanno la possibilità di ostacolare il processo di pace). Se non si risolverà nel 2015 il conflitto israeliano-palestinese, questo numero sarà in grado di impedire ogni tentativo di soluzione di “due Stati per due popoli”.

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